(The Tempest - 1611)
(act 4, scene 1)
PROSPERO
You do look, my son, in a moved sort,
As if you were dismay'd: be cheerful, sir.
Our revels now are ended. These our actors,
As I foretold you, were all spirits and
Are melted into air, into thin air:
And, like the baseless fabric of this vision,
The cloud-capp'd towers, the gorgeous palaces,
The solemn temples, the great globe itself,
Ye all which it inherit, shall dissolve
And, like this insubstantial pageant faded,
Leave not a rack behind. We are such stuff
As dreams are made on, and our little life
Is rounded with a sleep.
(act 4, scene 1)
Prospero:
Figlio mio, sembri colpito da un grande sbigottimento. Ma sta di buon
animo. Le nostre feste sceniche sono finite. Questi nostri attori,
come del resto avevo già detto, erano soltanto degli spiriti,
e si sono dissolti nell’aria, nell’aria sottile. E simili in
tutto alla fabbrica senza fondamento di questa visione, le torri
incappucciate di nubi, gli splendidi palazzi, i sacri templi, lo
stesso globo terrestre e tutto quel vi si contiene s'avvieranno al
dissolvimento, e, al modo di quello spettacolo senza corpo che avete
visto pur ora dissolversi, non lasceranno dietro a sé nemmeno
un solo strascico di nube.
Noi siamo fatti della medesima materia di cui sono fatti i sogni,
e la nostra vita breve è circondata dal sonno.
Noi siamo fatti della medesima materia di cui sono fatti i sogni,
e la nostra vita breve è circondata dal sonno.
John William Waterhouse - Miranda, The Tempest (1916)
Quando leggo qualcosa di Shakespeare mi meraviglio ogni volta: sembra impossibile che queste commedie, tragedie e sonetti siano stati scritti più di 400 anni fa. Cerco di leggere sempre in lingua originale perché in una parola lui esprime tutta l'idea, mentre i traduttori devono usare circonlocuzioni spesso pompose e annoianti, che non trasmettono assolutamente ironia e umorismo. "La Tempesta" in particolare è davvero esaltante: breve, sintetica, visionaria. Indimenticabili Ariel, spiritello sbruffoncello, ed il suo contraltare Caliban. E' l'ultima commedia scritta e interpretata da Shakespeare, che identificandosi con Prospero, con questo monologo di chiusura dà l'addio al teatro:
«
EPILOGUE - PROSPERO -
Now my charms are all o'erthrown,
And what strength I have's mine own,
Which is most faint: now, 'tis true,
I must be here confined by you,
Or sent to Naples. Let me not,
Since I have my dukedom got
And pardon'd the deceiver, dwell
In this bare island by your spell;
But release me from my bands
With the help of your good hands:
Gentle breath of yours my sails
Must fill, or else my project fails,
Which was to please. Now I want
Spirits to enforce, art to enchant,
And my ending is despair,
Unless I be relieved by prayer,
Which pierces so that it assaults
Mercy itself and frees all faults.
As you from crimes would pardon'd be,
Let your indulgence set me free. »
EPILOGO - PROSPERO
Ora i miei incanti son tutti spezzati,
e quella forza che ho è mia soltanto
e assai debole. Ora senza dubbio
potete confinarmi qua
o farmi andare a Napoli. Non vogliate,
giacché ho riavuto il mio ducato
e perdonato al traditore, che io resti ad abitare,
in grazia del vostro magico potere, questa isola;
ma liberatemi da ogni inceppo
con l'aiuto delle vostre valide mani.
Un gentil vostro soffio deve gonfiar le mie vele,
altrimenti fallisce il mio scopo
che era quello di divertire. Ora non ho
spiriti a cui comandare, né arte da far incantesimi,
e la mia fine sarà disperata
a meno che non sia soccorso da una preghiera
che sia così commovente da vincere
la stessa divina misericordia e liberare da ogni peccato.
E come voi vorreste esser perdonati di ogni colpa,
fate che io sia affrancato dalla vostra indulgenza.