(Mondadori - 2013)
THE DISQUIETING MUSES - SYLVIA PLATH
Mother, mother, what illbred aunt
Or what disfigured and unsightly
Cousin did you so unwisely keep
Unasked to my christening, that she
Sent these ladies in her stead
With heads like darning-eggs to nod
And nod and nod at foot and head
And at the left side of my crib?
Mother, who made to order stories
Of Mixie Blackshort the heroic bear,
Mother, whose witches always, always,
Got baked into gingerbread, I wonder
Whether you saw them, whether you said
Words to rid me of those three ladies
Nodding by night around my bed,
Mouthless, eyeless, with stitched bald head.
In the hurricane, when father's twelve
Study windows bellied in
Like bubbles about to break, you fed
My brother and me cookies and Ovaltine
And helped the two of us to choir:
"Thor is angry: boom boom boom!
Thor is angry: we don't care!"
But those ladies broke the panes.
When on tiptoe the schoolgirls danced,
Blinking flashlights like fireflies
And singing the glowworm song, I could
Not lift a foot in the twinkle-dress
But, heavy-footed, stood aside
In the shadow cast by my dismal-headed
Godmothers, and you cried and cried:
And the shadow stretched, the lights went out.
Mother, you sent me to piano lessons
And praised my arabesques and trills
Although each teacher found my touch
Oddly wooden in spite of scales
And the hours of practicing, my ear
Tone-deaf and yes, unteachable.
I learned, I learned, I learned elsewhere,
From muses unhired by you, dear mother,
I woke one day to see you, mother,
Floating above me in bluest air
On a green balloon bright with a million
Flowers and bluebirds that never were
Never, never, found anywhere.
But the little planet bobbed away
Like a soap-bubble as you called: Come here!
And I faced my traveling companions.
Day now, night now, at head, side, feet,
They stand their vigil in gowns of stone,
Faces blank as the day I was born,
Their shadows long in the setting sun
That never brightens or goes down.
And this is the kingdom you bore me to,
Mother, mother. But no frown of mine
Will betray the company I keep.
Le muse inquietanti - Sylvia Plath
Mamma, mamma, quale zia maleducata
o cugina sfigurata e repellente
dimenticasti cosi sconsideratamente
d'invitare al mio battesimo, che quella
al posto suo mandò queste signore
dalla testa come un uovo da rammendo,
per dondolarla e dondolarla ai piedi,
al capo e a sinistra della culla?
Mamma, tu che su ordinazione inventavi le avventure
di Mixie Blackshort, l'orsetto coraggioso,
mamma, tu le cui streghe sempre sempre
finivano cotte in forno insieme al panpepato,
chissà se le hai viste, se hai detto parole
per liberarmi da quelle tre signore
che annuivano di notte intomo al letto,
senza bocca, senz'occhi, la testa calva tutta toppe?
Quando ci fu l'uragano e nello studio
di papà s'incurvarono le dodici finestre
come bolle prossime a scoppiare, tu preparasti
a mio fratello e a me biscotti e Ovomaltina
e ci insegnasti a cantare tutti in coro:
"Thor è arrabbiato: bum bum bum!
Thor è arrabbiato: che ce ne importa?"
Ma quelle signore ruppero le vetrate.
Quando a scuola le bambine eseguirono la danza
sulle punte e facendo lampeggiare le pile
cantarono la canzone delta lucciola, io non riuscivo
a muovere un piede nella mia veste coi lustrini
ma me ne stavo in disparte, goffa,
nell'ombra gettata dalle mie madrine
dalla lugubre testa, e tu piangevi, piangevi,
e l'ombra si allungò, si spensero le luci.
Mamma, mi mandavi a lezione di piano
e lodavi i miei trilli e arabeschi,
benché tutte le maestre giudicassero il mio tocco
stranamente legnoso nonostante le scale
e le ore di esercizio, e il mio orecchio
stonato e, sì, refrattario alle lezioni.
Ho imparato, ho imparato, ho imparato altrove,
da muse non assunte da te, mamma cara.
Un giomo mi sono svegliata e ti ho vista, mamma,
che galleggiavi nell'azzurro più azzurro
su una mongolfiera verde coperta di un milione
di fiori e uccellini azzurri che mai mai
si videro, in nessun luogo mai.
Ma il piccolo pianeta volò via saltellando
come una bolla di sapone mentre tu gridavi: "Vieni, vieni!".
E io restai sola davanti alle mie compagne di viaggio.
Giomo e notte ora, al mio capo, al fianco, ai piedi,
stanno a veglia con vesti di pietra,
le facce vuote come il giomo in cui nacqui,
le ombre lunghe nel sole calante
che mai splende più vivo e mai tramonta.
E questo è il regno a cui mi hai portato,
mamma, mamma. Ma nessuna espressione del mio viso
tradirà la compagnia che frequento.
Leggere questa poesia del 1957 è come entrare nella mente di Sylvia, tra le fate cattive dell'infanzia e le tristi ambizioni di sua madre, tra manichini alla de Chirico e demoni ormai padroni della sua anima. E' un'accusa rassegnata e crudele, che spiega bene come Sylvia sia consapevole del proprio destino. Si suiciderà sei anni dopo, coerente come sempre, coerente come tutti. Io mi innamoro quasi sempre dei poeti che leggo. Lei, invece, l'ho adottata.
Sylvia Plath (USA 1932- UK 1963)
THE EDGE - SYLVIA PLATH
RispondiEliminaThe woman is perfected
Her dead
Body wears the smile of accomplishment,
The illusion of a Greek necessity
Flows in the scrolls of her toga,
Her bare
Feet seem to be saying:
We have come so far, it is over.
Each dead child coiled, a white serpent,
One at each little
Pitcher of milk, now empty
She has folded
Them back into her body as petals
Of a rose close when the garden
Stiffens and odors bleed
From the sweet, deep throats of the night flower.
The moon has nothing to be sad about,
Staring from her hood of bone.
She is used to this sort of thing.
Her blacks crackle and drag.
E questa è la traduzione:
LIMITE - Sylvia Plath
La donna ora è perfetta.
Il suo corpo
morto indossa il sorriso della compiutezza,
l'illusione di una necessità greca
fluisce nei volumi della sua toga,
i suoi piedi
nudi sembrano dire:
Siamo arrivati fin qui, è finita.
I bambini morti si sono acciambellati,
ciascuno, bianco serpente,
presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota.
Lei li ha raccolti
di nuovo nel suo corpo come i petali
di una rosa si chiudono quando il giardino
s'irrigidisce e sanguinano i profumi
dalle dolci gole profonde del fiore notturno.
La luna, spettatrice nel suo cappuccio d'osso,
non ha motivo di essere triste.
È abituata a queste cose.
I suoi neri crepitano e tirano.
Questa terribile poesia è l'ultima di Sylvia Plath, scritta solo sei giorni prima di suicidarsi. E' il suo grido finale, forse una richiesta d'aiuto non compresa. L' 11 febbraio 1963 pone a fianco dei suoi bambini una tazza di latte e del pane imburrato, spalanca la finestra, li chiude a chiave e scende in cucina. Scrive un biglietto, "chiamate il medico ...", poi apre il gas e mette la testa nel forno. Tutto è compiuto, tutto è perfetto. La morte, inevitabile e irrevocabile, è la logica conclusione della sua poesia.
Quel terribile accenno ai bambini morti acciambellati e raccolti di nuovo nel suo grembo potrebbe far pensare all'intenzione di sopprimere anche i suoi figli, in una sorta di omicidio-suicidio liberatorio. Non essendo accaduto, fortunatamente, preferisco accodarmi all'interpretazione della critica inglese: Sylvia si riferisce alle sue poesie, che moriranno con lei. Da notare che quest'idea è alquanto profetica, dal momento che il suo ex-marito ed erede Ted Hughes ha distrutto una quantità imprecisata di poesie, ovviamente tutte quelle relative al loro rapporto di coppia: sarebbe stato importante accertare quanta influenza hanno avuto sulla depressione di Sylvia i tradimenti di lui.
EliminaL'odiato Ted Hughes.... da allora, mille mani hanno strappato le lettere hughes dalla tomba di Sylvia, finché l'amministrazione, stanca di sostituirle, si è stufata e le ha saldate in modo definitivo e incorruttibile.... non era giusto, non è giusto nemmeno per me, quel nome odioso andava estirpato per sempre.
EliminaSu Sylvia feci una tesi: ed erano trascorsi pochi anni dalla sua morte. Distinguo in lei due aspetti, uno meno amato, amaro e crudele, nel quale prorompe tutta la sua ferocia accusatoria, come in questi versi:
RispondiElimina"... ma sei un diavolo lo stesso,
sei sempre l'uomo nero che
azzannò e squarciò in due il mio cuore rosso.
Ti seppellirono che avevo dieci anni.
A venti cercai di morire
e tornare, tornare, tornare da te.
Anche le ossa potevano bastare..." (da Daddy - Papà)
o peggio ancora come questi:
"...Sono abitata da un grido.
Di notte esce svolazzando
in cerca, con i suoi uncini, di qualcosa da amare..." (da Elm - Olmo).
E poi c'è un aspetto splendente di luce, come un prezioso raggio di sole che talvolta la rasserena, come in questi versi:
" Passeggiavo per il giardino delle rose deserto
nel parco pubblico; a casa sentivo il bisogno
della presenza di una sola rosa per immaginare
tutte le altre nel rigoglio dei colori......" (da Favola delle ladre di rododendri).
A leggere le poesie di Sylvia, che tuttora anch'io chiamo per nome, si incorre in un'esperienza unica e sconvolgente: sapendone la fine, ogni parola e ogni verso acquistano un significato particolare, ed è fin troppo facile individuare accenni e riferimenti a quello che sarebbe successo. Ma questo è solo un ozioso discorso perfettamente inutile.
Seguendo il metodo del blog, aggiungo la mia prediletta e poco nota:
RispondiEliminaFavola delle ladre di rododendri, di Sylvia Plath
Passeggiavo per il giardino delle rose deserto
nel parco pubblico; a casa sentivo il bisogno
della presenza di una sola rosa per immaginare
tutte le altre nel rigoglio dei colori.
La testa di leone di pietra incassata nel muro
gocciolava la sua saliva di un verde pigro
nella vasca di pietra. Recisi
un bocciolo arancione, lo misi in tasca. Quando
ebbe aperto il suo arancione nel mio vaso
e regredì a paonazzo sfatto, ne scelsi uno rosso,
sgombrando la coscienza col dirmi che derubavo
il parco di meno rosso di quanto non facesse l’appassire.
La fragranza muschiata mi allietava il naso, il rosso l’occhio,
il velluto dei petali le dita:
riflettei sulla poesia che traevo in salvo
dall’aria cieca, da una completa eclissi.
Ma oggi, con un bocciolo giallo in mano,
mi sono arrestata agli schianti improvvisi
nel boschetto di alloro. Nessuno si avvicinava.
Uno spasimo ha afferrato i cespugli dei rododendri:
tre ragazze, intente, strappavano a bracciate frasche
color ciliegia e rosa dai rododendri,
ammassandole su giornali distesi.
Coglievano sfrontate, non rallentate da alcun rimorso.
E non hanno smesso sotto la mia occhiata severa.
Ma mi son chiesta poi, la mia rosa un’accusa,
che cosa si riduca a nulla: il furtarello di fronte alla rapina
o la raffinatezza di fronte all’amore.
ecco l'originale:
EliminaFABLE OF THE RHODODENDRON STEALERS - SYLVIA PLATH
I walked the unwalked garden of rose-beds
In the public park; at home felt the want
Of a single rose present to imagine
The garden's remainder in full paint.
The stone lion-head set in the wall
Let drop its spittle of sluggish green
Into the stone basin. I snipped
An orange bud, pocketed it. When
It had opened its orange in my vase,
Retrogressed to blowze, I next chose red;
Argued my conscience clear which robbed
The park of less red than withering did.
Musk satisfied my nose, red my eye,
The petals' nap my fingertips:
I considered the poetry I rescued
From blind air, from complete eclipse.
Yet today, a yellow bud in my hand,
I stalled at sudden noisy crashes
From the laurel thicket. No one approached.
A spasm took the rhododendron bushes:
Three girls, engrossed, were wrenching full clusters
Of cerise and pink from the rhododendron,
Mountaining them on spread newspaper.
They brassily picked, slowed by no chagrin,
And wouldn't pause for my straight look.
But gave me pause, my rose a charge,
Whether nicety stood confounded by love,
Or petty thievery by large.
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Mi riferisco all'aspetto sereno di Sylvia in alcune circostanze: non sono d'accordo. Anche nelle rare poesie bucoliche è presente la fucilata finale: e fa più male. Ecco un esempio:
RispondiEliminaAcquerello di Grandchester Meadows - Sylvia Plath
Gli agnelli di primavera laggiù affollano lo stabbio. Nell'aria
tacita, argentata come acqua in un bicchiere,
nulla è grande o lontano.
il toporagno squittisce nella sua foresta
d'erbe e lo si sente.
Minuscoli uccellini
frullano vispi tra gli arbusti, con un bel colore.
Stracci di nubi e salici cavi abitati dai gufi, inclinati
sulla placida Granta, doppiano il loro mondo
bianco e verde sotto l'acqua tersa
e si cullano sul filo della corrente, capovolti.
Il battelliere pianta in acqua il suo palo.
Nella pozza di Byron
i piccoli cigni mansueti scivolano tra due ali di stiance.
E' un paesaggio su un piattino da bambini.
Mucche pezzate fanno mulinare le mascelle e brucano
trifoglio rosso o rosicchiano barbabietole
turgide in un nimbo di ranuncoli smaltati dal sole.
Tutt'intorno ai prati di un mite
verde d'Arcadia
il biancospino dalle bacche sanguigne cela nel bianco le sue punte.
Buffo, vegetariano, il topo d'acqua
sega una canna e lascia a nuoto il suo boschetto flessuoso,
mentre gli studenti siedono o passeggiano
la mano nella mano, in una sognante indolenza d'amore,
avvolti in toga nera, ma ignari di come
in un'aria così dolce
il gufo calerà dalla sua torre, striderà il topo.
19 febbraio 1959
ecco l'originale:
EliminaWATERCOLOR OF GRANTCHESTER MEADOWS - SYLVIA PLATH
There, spring lambs jam the sheepfold. In air
Stilled, silvered as water in a glass
Nothing is big or far.
The small shrew chitters from its wilderness
Of grassheads and is heard.
Each thumb-sized bird
Fits nimble-winged in thickets, and of good color.
Cloudwrack and owl-hollowed willows slanting over
The bland Granta double their white and green
World under the sheer water
And ride that flux at anchor, upside down.
The punter sinks his pole.
In Byron's pool
Cat-tails part where the tame cygnets steer.
It is a country on a nursery plate.
Spotted cows revolve their jaws and crop
Red clover or gnaw beetroot
Bellied on a nimbus of sun-glazed buttercup.
Hedging meadows of benign
Arcadian green
The blood-berried hawthorn hides its spines with white.
Droll, vegetarian, the water rat
Saws down a reed and swims from his limber grove,
While the students stroll or sit,
Hands laced, in a moony indolence of love ---
Black-gowned, but unaware
How in such mild air
The owl shall stoop from his turret, the rat cry out.
19 February 1959
Che bella, Sylvia Plath! E in quella foto sembra inossidabilmente felice... io non me la sento di proporre una sua poesia troppo triste. Scelgo questa, nella quale l'autrice sembra quasi immedesimarsi con le pietre-fossili che rimangono immobili nel tempo quando parla del trionfare del mondo floreale tutto intorno, per poi immedesimarsi con la transitorietà dei fiori, quando parla dell'immutabilità eterna delle pietre.
RispondiEliminaLE PIETRE DEL CHILD’S PARK, di Sylvia Plath
In un’aria senza sole, sotto pini
di un verde che sembra quasi nero, un padre
fondatore pose queste pietre lobate, contorte,
a profilarsi nella penombra filtrata dalle foglie,
nere come omeri o tibie carbonizzati
di un gigante o di un animale
estinto, venuto da un’altra
era, anzi da un altro pianeta. Accanto
al falò arancione e fucsia
delle azalee, queste sacre
pietre fanno la guardia a un riposo oscuro
e mantengono intatta la loro forma mentre il sole
muta le ombre della rosa e dell’iris -
lunghe, corte, lunghe – nel giardino illuminato
e suscita un incendio a fine giorno
che dovrebbe appannare il pigmento
delle azalee, ma che si estingue
insieme a loro. Seguire la sfumatura della luce
e la sua intensità a mezzanotte
a mezzogiorno e sotto il lavorio
delle stagioni significa conoscere
il cuore immoto delle pietre:
pietre che impiegano tutta l’estate per perdere
il loro sogno del freddo invernale; pietre
che si scaldano al centro solo quando
si forma il gelo. Nessun grimaldello potrebbe
sradicarle: la loro barba è sempre-
verde. E neppure, una volta ogni cento
anni, scendono a bere il fiume:
non c’è sete che disturbi il letto di una pietra.
ecco l'originale, del 1958:
EliminaCHILD’S PARK STONES – SYLVIA PLATH
In sunless air, under pines
Green to the point of blackness, some
Founding father set these lobed, warped stones
To loom in the leaf-filtered gloom
Black as the charred knuckle-bones
Of a giant or extinct
Animal, come from another
Age, another planet surely. Flanked
By the orange and fuchsia bonfire
Of azaleas, sacrosanct
These stones guard a dark repose
And keep their shapes intact while sun
Alters shadows of rose and iris —-
Long, short, long —- in the lit garden
And kindles a day's-end blaze
Colored to dull the pigment
Of azaleas, yet burnt out
Quick as they. To follow the light's tint
And intensity by midnight
By noon and throughout the brunt
Of various weathers is
To know the still heart of the stones:
Stones that take the whole summer to lose
Their dream of the winter's cold; stones
Warming at core only as
Frost forms. No man's crowbar could
Uproot them: their beards are ever-
Green. Nor do they, once in a hundred
Years, go down to drink the river:
No thirst disturbs a stone's bed.
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EliminaIo scelgo una poesia tutta imperniata sulla nostalgia di un luogo caro dell'infanzia. Sylvia Plath a dieci anni amava giocare su questo scoglio, che nella fantasia infantile diventava nave da conquistare e poi far navigare... e il ricordo di questo periodo felice viene affrontato con grande speranza quindici anni dopo, ma la delusione è infinita. O forse è pessimo il confronto con la felicità spensierata di allora.
RispondiEliminaSCOGLIO VERDE, BAIA DI WINTHROP, di Sylvia Plath
Non c’è magra scusa che possa mascherare
il catrame raggrumato alla linea di marea , il pontile in rovina.
Avrei dovuto immaginarlo.
Quindici anni tra me e la baia
hanno arricchito il ricordo, ma cancellato la scena di un tempo
raffazzonando questa vista
scadente che mette fine
alla mia promessa di un idillio. L’azzurro è consunto:
è una proprietà meschina,
nemica, ora. Il grande scoglio verde
che tante volte ci fece da nave e casa è nero
di appiccicume catramoso
e littorine, rattrappito in dimensioni
comuni. Le grida degli ingordi gabbiani sono flebili
nel viavai degli aeroplani
del Logan Airport sull’altra riva.
I gabbiani roteano grigi sotto l’ombra di un volo più metallico.
La perdita annulla il profitto.
A meno di non fare un favore a questo porto
luccicante e sciatto facendo finta che non esista, o mento
indorando una bruttura,
o me la cavo incolpando il tempo
del rimpicciolimento dello scoglio, della schiuma insozzata,
della zotica accoglienza.
ecco l'originale, del 1958:
EliminaGREEN ROCK, WINTHROP BAY – SYLVIA PLATH
No lame excuses can gloss over
Barge-tar clotted at the tide-line, the wrecked pier.
I should have known better.
Fifteen years between me and the bay
Profited memory, but did away with the old scenery
And patched this shoddy
Makeshift of a view to quit
My promise of an idyll. The blue's worn out:
It's a niggard estate,
Inimical now. The great green rock
We gave good use as ship and house is black
With tarry muck
And periwinkles, shrunk to common
Size. The cries of scavenging gulls sound thin
In the traffic of planes
From Logan Airport opposite.
Gulls circle gray under shadow of a steelier flight.
Loss cancels profit.
Unless you do this tawdry harbor
A service and ignore it, I go a liar
Gilding what's eyesore,
Or must take loophole and blame time
For the rock's dwarfed lump, for the drabbled scum,
For a churlish welcome.
allegria allegria!!!! help
RispondiEliminaBene,sono arrivata in ritardo ma noto con piacere che ancora nessuno ha postato la mia poesia preferita, adoro questa poetessa affetta da disturbo bipolare,distante dal Mondo che avvertiva estraneo e perennemente alla ricerca di una via di fuga al suo mal di vivere che a soli diciassette anni la porta a scrivere" ho paura di crescere,ho paura di sposarmi,voglio essere libera"
RispondiEliminaio sono verticale-il dialogo con il sogno
Io sono verticale ma preferirei essere orizzontale
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
cosi’ da poter brillare di foglie a ogni marzo,
ne’ sono la belta’ di un’aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovro’ perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero e’ immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma piu’ clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo piu’ perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata e’ per me piu’ naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e saro’ utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me"
Sylvia Plath osserva la vita da lontano, quasi da un punto ultraterreno;sa di non essere forte e immortale come un albero, né bella come un fiore.,non possiede radici che la tengono ben salda al terreno come tutte le altre donne, ma sarà sempre accompagnata da una sensazione di estraneità.
Se fosse orizzontale, sarebbe come tutte le altre donne ,con radice ben fisse a terra invece si sente verticale, imperfetta. e piena di manchevolezze.
Ted Hughes,marito di Sylvia, pubblicò una bellissima poesia a lei dedicata troppi anni dopo il suicidio di sua moglie, Si erano amati e massacrati, lui aveva preferito un’altra donna, Assia, e l’aveva sposata (dopo sei anni si suicidò anche lei, e Hughes allora sposò un’infermiera, che gli sopravvisse), quindi per tutto il resto della vita fu sospettato di crudeltà mentale e il fatto che avesse eliminato alcune pagine dei diari di Sylvia fu un altro elemento alla disapprovazione pubblica.
Elimina....e Sylvia Plath quella sera sigillò la cucina per non mettere in pericolo i bambini addormentati, mise accanto ai loro letti un vassoio su cui aveva preparato latte e toast imburrati. Aveva trent’anni, due figli piccoli, grandi poesie, un romanzo, un futuro libero, era bellissima e geniale e non ce la faceva più....
Ecco l'originale:
EliminaI AM VERTICAL - SYLVIA PLATH
But I would rather be horizontal.
I am not a tree with my root in the soil
Sucking up minerals and motherly love
So that each March I may gleam into leaf,
Nor am I the beauty of a garden bed
Attracting my share of Ahs and spectacularly painted,
Unknowing I must soon unpetal.
Compared with me, a tree is immortal
And a flower-head not tall, but more startling,
And I want the one's longevity and the other's daring.
Tonight, in the infinitesimal light of the stars,
The trees and the flowers have been strewing their cool odors.
I walk among them, but none of them are noticing.
Sometimes I think that when I am sleeping
I must most perfectly resemble them --
Thoughts gone dim.
It is more natural to me, lying down.
Then the sky and I are in open conversation,
And I shall be useful when I lie down finally:
Then the trees may touch me for once, and the flowers have time for me.
28 March 1961
Sylvia esprime nei suoi versi molto di più di una sofferenza esistenziale: esprime il senso del disagio che prova, come essere umano oltre che come donna, nel vedersi costretta a vivere diversamente da come vorrebbe e saprebbe, essendo in totale disarmonia col mondo intero e soprattutto con se stessa. In "Io sono verticale" esprime appunto questo desiderio - irrealizzabile - di vivere in condizioni diverse.
EliminaScommetto che siete curiosi di leggere la poesia dedicata dal marito a Sylvia e allora eccomi pronta
RispondiEliminaTed Hughes Lettera di compleanno
Più alta / di quanto non saresti più stata. Ondeggiavi così snella / che le tue lunghe, perfette gambe americane / sembravano salire su su su. Quella mano divampante, / quelle lunghe dita danzanti, di eleganza scimmiesca. / E il viso: una palla tesa di gioia. / Ti vedo là, più chiara, più vera / che in tutti gli anni nella sua ombra / come se ti avessi visto quell’unica volta e poi più. / La cascata sciolta dei capelli – quella molle cortina / sul viso, sulla cicatrice. E il tuo viso / una gommosa palla di gioia / intorno alla bocca dalle labbra africane, ridente, / dipinte di cremisi. E i tuoi occhi / strizzati nel viso, succo di diamanti, / incredibilmente luminosi, come succo di lacrime / che potevano anche essere lacrime di gioia, una spremuta di gioia. / Volevi strabiliarmi / con il tuo brio."
Come un quadro di Segantini io vedo queste donne a ridosso del mare, fonte di sostentamento e di ansia. Mi adeguo allo stile del blog, e insomma questa è la mia poesia, odora di alghe morte, di salsedine. Chi ama il mare sa bene cosa intendo.
RispondiEliminaThe met-menders, by Sylvia plath
Halfway up from the little harbor of sardine boats,
Halfway down from groves where the thin, bitter almond pips
Fatten in green-pocked pods, the three net-menders sit out,
Dressed in black, everybody in mourning for someone.
They set their stout chairs back to the road and face the dark
Dominoes of their doorways.
Sun grains their crow-colors,
Purples the fig in the leaf's shadow, turns the dust pink.
On the road named for Tomas Ortunio, mica
Winks like money under the ringed toes of the chickens.
The houses are white as sea-salt goats lick from the rocks.
While their fingers work with the coarse mesh and the fine
Their eyes revolve the whole town like a blue and green ball.
Nobody dies or is born without their knowing it.
They talk of bride-lace, of lovers spunky as gamecocks.
The moon leans, a stone madonna, over the lead sea
And the iron hills that enclose them. Earthen fingers
Twist old words into the web-threads:
Tonight may the fish
Be a harvest of silver in the nets, and the lamps
Of our husbands and sons move sure among the low stars.
Le aggiustatrici di reti, di Sylvia Plath
A metà salita dal porticciolo coi pescherecci di sardine,
a metà discesa dai mandorleti dove i sottili frutti amari
ingrassano nei baccelli butterati di verde, le tre aggiustatrici di reti
siedono all'aperto, nerovestite, tutte in lutto per qualcuno.
Hanno messo le sedie tozze col dorso alla strada e sono rivolte alle nere
tessere di domino delle porte aperte.
Il sole dà una grana ai loro corvini,
tinge di viola il fico all'ombra della foglia, rende rosa la polvere.
Sulla strada che porta il nome di Tomas Ortunio, la mica
occhieggia come monetine sotto le zampe inanellate dei polli.
Le case sono bianche come il salino che le capre leccano sulle rocce.
Mentre le loro dita lavorano le maglie grosse e quelle fini
gli occhi fanno ruotare tutto il paese come una sfera azzurra e verde.
Nessuno muore o nasce a loro insaputa.
Parlano di pizzi da sposa, di innamorati arditi come galletti.
La luna si china, madonna di pietra, sul mare di piombo
e sulle colline ferrigne che le racchiudono. Dita di terracotta
intrecciano parole antiche ai fili delle maglie:
"Che questa notte i pesci
siano una messe d'argento nelle reti, e le lampare
dei nostri mariti e figli muovano sicure tra le stelle basse."
E poi un'altra. Il mare d'autunno. Sono con lei sulla battigia, sento con lei la dolcezza della tristezza. Io amo questa donna.
RispondiEliminaMagnolia Shoals, by Sylvia Plath
Up here among the gull cries
we stroll through a maze of pale
red-mottled relics, shells, claws
as if it were summer still.
That season has turned its back.
Though the green sea gardens stall,
bow, and recover their look
of the imperishable
gardens in an antique book
or tapestries on a wall,
leaves behind us warp and lapse.
The late month withers, as well.
Below us a white gull keeps
the weed-slicked shelf for his own,
hustles other gulls off. Crabs
rove over his field of stone;
mussels cluster blue as grapes:
his beak brings the harvest in.
The watercolorist grips
his brush in the stringent air.
The horizon’s bare of ships,
the beach and the rocks are bare.
He paints a blizzard of gulls,
wings drumming in the winter.
October 1959
Banchi di sabbia a Magnolia, di Sylvia Plath
Quassù tra le grida dei gabbiani
passeggiamo in un labirinto di resti
pallidi screziati di rosso, gusci, chele
come se fosse ancora estate.
Ha voltato le spalle, quella stagione.
Anche se i verdi giardini del mare si arrestano,
fanno un inchino e riprendono l'aspetto
degli imperituri
giardini di un libro antico
o in arazzi alla parete,
dietro di noi le foglie, sformate, vengon meno.
Anche il mese inoltrato appassisce.
Sotto di noi un gabbiano bianco si è impadronito
della spiantata lucida di alghe,
ne caccia via gli altri gabbiani. I granchi
vagano per il suo campo di pietra;
le cozze sono grappoli di uva nera:
il suo becco ne fa vendemmia.
L'acquerellista stringe
il pennello nell'aria pungente.
L'orizzonte è spoglio di navi,
la spiaggia e gli scogli sono spogli.
l'uomo dipinge una tormenta di gabbiani,
un rullo d'ali che annuncia l'inverno.
Ottobre 1959
Ho pensato molto prima di proporla, eppure, essendo stata anticipata da Giuseppe, eccola qui. E' una poesia terribile, lo so.
RispondiEliminaELM - SYLVIA PLATH
For Ruth Fainlight
I know the bottom, she says. I know it with my great tap root:
It is what you fear.
I do not fear it: I have been there.
Is it the sea you hear in me,
Its dissatisfactions?
Or the voice of nothing, that was you madness?
Love is a shadow.
How you lie and cry after it.
Listen: these are its hooves: it has gone off, like a horse.
All night I shall gallup thus, impetuously,
Till your head is a stone, your pillow a little turf,
Echoing, echoing.
Or shall I bring you the sound of poisons?
This is rain now, the big hush.
And this is the fruit of it: tin-white, like arsenic.
I have suffered the atrocity of sunsets.
Scorched to the root
My red filaments burn and stand,a hand of wires.
Now I break up in pieces that fly about like clubs.
A wind of such violence
Will tolerate no bystanding: I must shriek.
The moon, also, is merciless: she would drag me
Cruelly, being barren.
Her radience scathes me. Or perhaps I have caught her.
I let her go. I let her go
Diminished and flat, as after radical surgery.
How your bad dreams possess and endow me.
I am inhabited by a cry.
Nightly it flaps out
Looking, with its hooks, for something to love.
I am terrified by this dark thing
That sleeps in me;
All day I feel its soft, feathery turnings, its malignity.
Clouds pass and disperse.
Are those the faces of love, those pale irretrievables?
Is it for such I agitate my heart?
I am incapable of more knowledge.
What is this, this face
So murderous in its strangle of branches?--
Its snaky acids hiss.
It petrifies the will. These are the isolate, slow faults
That kill, that kill, that kill.
19 April 1962
OLMO - SYLVIA PLATH
per Ruth Fainlight
OLMO
Conosco il fondo, dice. Lo conosco con la mia grossaradice:
è quello di cui tu hai paura.
Io non ne ho paura: ci sono stata.
E’ il mare che senti in me,
le sue insoddisfazioni?
O la voce del nulla, che era la tua pazzia?
L’amore è un’ombra.
Come lo insegui con menzogne e pianti.
Ascolta: ecco i suoi zoccoli: è corso via, come un cavallo.
Per tutta la notte galopperò così, impetuosamente,
finché la tua testa non sarà una pietra, il tuo cuscino una zolla,
rimandando echi ed echi.
O vuoi che ti porti il suono dei veleni?
Ecco, questa è la pioggia ora, questo grande azzittirsi.
E questo è il suo frutto: bianco-stagno, come arsenico.
Ho patito l’atrocità dei tramonti.
Bruciati fino alla radice
i miei filamenti rossi ardono ritti, una mano di fili di ferro.
Ora mi rompo in pezzi che volano intorno come clave.
Un vento di tale violenza
non tollera neutralità: devo urlare.
Anche la luna è spietata: vuole trascinarmi
crudelmente, lei che è sterile.
Il suo splendore mi folgora. O forse l’ho catturata.
La lascio andare. La lascio andare
diminuita e piatta, come dopo un intervento radicale.
Come mi possiedono e mi colmano i tuoi brutti sogni.
Sono abitata da un grido.
Di notte esce svolazzando
in cerca, con i suoi uncini, di qualcosa da amare.
Mi terrorizza questa cosa scura
che dorme in me;
tutto il giorno ne sento il tacito rivoltarsi piumato, la malignità.
Le nuvole passano e si disperdono
Sono quelli i volti dell’amore, quelle pallide irrecuperabilità?
E’ per questo che agito il mio cuore?
Sono incapace di maggiore conoscenza.
Che cos’è questo, questa faccia
così assassina nel suo strangolio di rami?
Sibilano i suoi acidi serpentini.
Pietrificano la volontà. Queste sono le colpe isolate e lente
che uccidono e uccidono e uccidono.
19 aprile 1962
Olmo è una delle ultime poesie di Sylvia, la cui vita è stata segnata dall'assenza della figura paterna, mancato quando lei aveva appena otto anni.
EliminaCerca di compensare il vuoto di questa assenza,con la ricerca spasmodica di un amore protettivo e di un'accettazione incondizionata ma allorquando il rapporto si sbriciolerà ecco trapelare l'ombra della morte .
L’amore si presenta nelle fattezze di Ted Hughes, tutto sembra dare risposta al suo bisogno di compimento. Ma si sbriciolerà presto, dimostrando la debolezza di un tradimento.
Sylvia canta lo strazio di un abbandono che somma ferite e apre cicatrici mai rimarginate.
I primi versi di Olmo delineano un destino di sogno e di visione: «Conosco il fondo, dice. Lo conosco con la mia grossa radice: / è quello di cui tu hai paura./ Io non ne ho paura: ci sono stata».
Il fondo di Sylvia Plath è un intaglio di ombre, come l’eco nero finale e profondo di un passaggio da combattere, «Ho un buon io, che ama i cieli, le colline, le idee, i piatti saporiti, i colori brillanti. Il mio demone vorrebbe ucciderlo»
Ecco descritta la sua profonda sofferenza «è il mare che senti in me, le sue insoddisfazioni? o la voce del nulla, che era la tua pazzia? L’amore è un’ombra. Come lo insegui con menzogne e pianti. Ascolta: ecco i suoi zoccoli: se n’è andato, come un cavallo». «Ho patito l’atrocità dei tramonti. Bruciati fino alla radice i miei filamenti rossi ardono ritti, una mano di fili di ferro».
In via preventiva chiedo scusa alle mie amiche ragazze perché non è mia intenzione fare dell'ironia. Invece, essendo abituato al concetto di zitella espresso da Emily Dickinson, mi è sembrato molto interessante proporre questa splendida poesia sullo stesso argomento. Insomma, è il non voler più combattere che diventa la scelta preferibile di vita. Meglio l'inverno dei sensi.
RispondiEliminaZITELLA, SYLVIA PLATH
E così questa particolare ragazza
In una cerimoniosa passeggiata d'aprile
Col suo più recente pretendente
Si trovò all'improvviso oltremodo sconvolta
Dalla sfrenata babele degli uccelli,
Da quel mare di foglie.
In preda a questo tumulto, osservava
I gesti del suo innamorato che sbilanciavano l'aria.
E il proprio passo vagante ineguale
In quel solitario rigoglio di felci e fiori.
Giudicava i petali in scompiglio,
E la stagione in generale, sciatta.
Come desiderò allora l'inverno!-
Scrupolosamente austero nel suo ordine
Di bianco e nero
Ghiaccio e roccia, ogni senso nei suoi limiti,
E la gelida disciplina del cuore
Esatta come fiocco di neve.
Ma ecco- un germogliare
Anormale abbastanza da mettere in scompiglio
Le sue cinque regali facoltà -
Un tradimento da non tollerare. Sì, impazziscano pure
Gli idioti nel manicomio primavera:
Lei se ne tirò subito fuori.
E mise tutt'intorno alla sua casa
Tale una barricata di spine e impedimenti
Contro quella stagione sediziosa
Che nessun uomo all'assalto poté sperare d'infrangerla
Per anatemi, pugni o terrore;
E nemmeno per amore.
SPINSTER, SYLVIA PLATH
Now this particular girl
During a ceremonious April walk
With her latest suitor
Found herself, of a sudden, intolerably struck
By the birds' irregular babel
And the leaves' litter.
By this tumult afflicted, she
Observed her lover's gestures unbalance the air,
His gait stray uneven
Through a rank wilderness of fern and flower.
She judged petals in disarray,
The whole season, sloven.
How she longed for winter then! --
Scrupulously austere in its order
Of white and black
Ice and rock; each sentiment within border,
And heart's frosty discipline
Exact as a snowflake.
But here -- a burgeoning
Unruly enough to pitch her five queenly wits
Into vulgar motley --
A treason not to be borne. Let idiots
Reel giddy in bedlam spring:
She withdrew neatly.
And round her house she set
Such a barricade of barb and check
Against mutinous weather
As no mere insurgent man could hope to break
With curse, fist, threat
Or love, either.
keep off my old maid Emily!
EliminaYou are wonderful! Thanks!
EliminaHello there!
RispondiEliminaIn the summer of 1956 Hughes married the poet Sylvia Plath and for their honeymoon they went to Spain and watched a bullfight. As she wrote in a letter to her mother:
"I’d imagined that the matador danced around with the dangerous bull, then killed him instantly. Not so… The killing isn’t even neat, and with all the chances against it, we felt disgusted and sickened by such brutality".
Plath wrote a poem about her bullfight experience, in which a picador was injured by the bull:
THE GORING
Arena dust rusted by four bulls’ blood to a dull redness,
The afternoon at a bad end under the crowd’s truculence,
The ritual death each time botched among dropped capes, ill-judged stabs,
The strongest will seemed a will towards ceremony. Obese, dark-
Faced in his rich yellows, tassels, pompons, braid, the picador
Rode out against the fifth bull to brace his pike and slowly bear
Down deep into the bent bull-neck. Cumbrous routine, not artwork.
Instinct for art began with the bull’s horn lofting in the mob’s
Hush a lumped man-shape. The whole act formal, fluent as a dance.
Blood faultlessly broached redeemed the sullied air, the earth’s grossness.
Ecco la traduzione.
EliminaCiao a tutti!
Nell'estate del 1956 Hughes sposò la poetessa Sylvia Plath e per la loro luna di miele si recarono in Spagna a guardare una corrida. Ecco cosa scrisse Sylvia in una lettera a sua madre:
"Avevo immaginato che il matador facesse una specie di balletto col toro pericoloso, per poi ucciderlo all'istante. Ma non è così ... L'uccisione non è certamente un evento ordinato e pulito, e con tutte le possibilità contrarie. Ci siamo sentiti disgustati e nauseati da tale brutalità".
Plath scrisse una poesia su questa sua esperienza-corrida, nella quale il toro ferì un picador.
L'INCORNATA - SYLVIA PLATH
La polvere dell'arena arrugginita dal sangue di quattro tori fino a un rosso spento,
il pomeriggio che si chiudeva male sotto la truculenza della folla,
la morte rituale ogni volta rabberciata tra mulete cadute, colpi mal calcolati,
la volontà più forte sembrava volontà di cerimonia. Obeso, scuro
in volto nei suoi gialli sontuosi, nappe, pompon, galloni, il picador
mosse il cavallo verso il quinto toro, pronto ad imbracciare la picca e lentamente
conficcarla nel collo curvo della bestia. Greve pantomima, non opera d'arte.
L'istinto per l'arte ebbe inizio con il corno del toro che sollevava nel silenzio
della plebe una goffa sagoma d'uomo. L'intero atto formale, fluido come una danza.
Il sangue spillato impeccabilmente fu redenzione dell'aria insozzata,
della volgarità della terra.
Di mio, aggiungo che questa poesia è magnifica. Ha risvegliato un ricordo accantonato, una corrida a cui assistemmo, inopinatamente, anni fa. Il torero fu incornato e gettato in aria dal toro, calpestato e trascinato. E noi ne fummo contenti. Mai più nessuno di noi andrà a vedere una corrida.
Eliminahere is my favorite:
RispondiEliminaThe Beekeeper's Daughter by Sylvia Plath
A garden of mouthings. Purple, scarlet-speckled, black
The great corollas dilate, peeling back their silks.
Their musk encroaches, circle after circle,
A well of scents almost too dense to breathe in.
Hieratical in your frock coat, maestro of the bees,
You move among the many-breasted hives,
My heart under your foot, sister of a stone.
Trumpet-throats open to the beaks of birds.
The Golden Rain Tree drips its powders down.
In these little boudoirs streaked with orange and red
The anthers nod their heads, potent as kings
To father dynasties. The air is rich.
Here is a queenship no mother can contest ---
A fruit that's death to taste: dark flesh, dark parings.
In burrows narrow as a finger, solitary bees
Keep house among the grasses. Kneeling down
I set my eyes to a hole-mouth and meet an eye
Round, green, disconsolate as a tear.
Father, bridegroom, in this Easter egg
Under the coronal of sugar roses
The queen bee marries the winter of your year.
and, with Easter eggs, Happy Easter to all, Nick
Ecco la traduzione:
EliminaLA FIGLIA DELL'APICULTORE - SYLVIA PLATH
Un giardino di bocche frementi. Viola, picchiettate di scarlatto, nere
le grandi corolle si dilatano, arrovesciando le loro sete.
Il loro muschio dilaga, cerchio dopo cerchio,
un pozzo di profumi troppo densi quasi per il respiro.
Ieratico nella tua redingote, gran maestro delle api,
ti muovi fra gli alveari dai molti seni,
il mio cuore sotto il tuo piede, sorella di una pietra.
Gole a tromba si aprono al becco degli uccelli.
L'Albero Pioggiadoro stilla le sue polveri.
In questi piccoli boudoir screziati di rosso e arancio
le antere inchinano il capo, potenti come re
a generare dinastie. L'aria è densa di odori.
Ecco una sovranità di regina che nessuna madre può disputare--
un frutto che è morte assaggiare: polpa scura, scure scorze.
In cunicoli stretti come un dito, api solitarie
stanno di casa tra l'erba. Inginocchiata,
accosto l'occhio a una bocca e incontro un occhio
tondo, verde, affranto come una lacrima.
Padre, sposo, in questo uovo pasquale
sotto la ghirlanda di rose zuccherine
l'ape regina sposa l'inverno del tuo anno.
Ci sono scrittori, soprattutto poeti, che lasciano un segno indelebile nell'anima, per mille motivi: ognuno ha i suoi. Io ho questi:
RispondiEliminaPoppies In July – Sylvia Plath
Little poppies, little hell flames,
Do you do no harm?
You flicker. I cannot touch you.
I put my hands among the flames. Nothing burns .
And it exhausts me to watch you
Flickering like that, wrinkly and clear red, like the skin of a mouth.
A mouth just bloodied.
Little bloody skirts!
There are fumes I cannot touch.
Where are your opiates, your nauseous capsules?
If I could bleed, or sleep! --
If my mouth could marry a hurt like that!
Or your liquors seep to me, in this glass capsule,
Dulling and stilling.
But colorless. Colorless.
20 July 1962
Papaveri in luglio – Sylvia Plath
Piccoli papaveri, piccole fiamme d’inferno,
Non fate male?
Tremolate. Non riesco a toccarvi.
Metto le mani tra le fiamme. Nessun bruciore.
E mi spossa il guardarvi
Così tremolanti, grinzosi e rosso vivo, come la pelle di una bocca.
Una bocca insanguinata da poco.
Gonnelline sanguinanti!
Ci sono fumi che non riesco a toccare.
Dove sono i vostri oppiacei, le vostre capsule nauseanti?
Potessi sanguinare, o dormire!—
Potesse la mia bocca sposare una ferita come quella!
O i vostri liquori stillare fino a me, in questa capsula di vetro,
E ottundere e placare.
Ma senza colore. Senza colore.
20 luglio 1962
... e questi:
RispondiEliminaPoppies in October – Sylvia Plath
Even the sun-clouds this morning cannot manage such skirts.
Nor the woman in the ambulance
Whose red heart blooms through her coat so astoundingly --
A gift, a love gift
Utterly unasked for
By a sky
Palely and flamily
Igniting its carbon monoxides, by eyes
Dulled to a halt under bowlers.
O my God, what am I
That these late mouths should cry open
In a forest of frost, in a dawn of cornflowers.
27 October 1962
Papaveri in ottobre – Sylvia Plath
Neppure le nuvole assolate stamattina riescono a dare gonnelle come queste.
Neppure la donna nell’ambulanza
Il cui cuore rosso fiorisce così stupefacente dal cappotto—
Un dono, un dono d’amore
Del tutto non richiesto
Da un cielo
Che pallido e infiammato
Accende i suoi monossidi di carbonio, da occhi
Che si arrestano torpidi sotto le bombette.
Oh mio Dio, che cosa sono io
Perché queste bocche tardive si spalanchino a un grido
In una foresta di gelo, in un’alba di fiordalisi?
27 ottobre 1962
Ma complimenti! Non pensavo di trovare così tanti commenti e tante idee! Mi sono iscritta e intendo cominciare a muovermi in fretta. Per ora dico solo che ho una profondissima ammirazione per Sylvia, che considero la più singolare voce poetica di tutto il novecento. A molto presto, ciao a tutti!
RispondiEliminaeccomi, con la poesia che rappresenta il fantasma terrificante di ogni donna. Sylvia la studia, la odia, e non riesce a togliersela dai pensieri con l'unica e amara soddisfazione di saperla prigioniera per lo stesso e forte legame reciproco ed esclusivo che le tiene avvinghiate. Sylvia la considera una rivale, non una donna, escludendo così ogni sentimento di solidarietà femminile.
RispondiEliminaThe Rival - Sylvia Plath (July 1961)
If the moon smiled, she would resemble you.
You leave the same impression
Of something beautiful, but annihilating.
Both of you are great light borrowers.
Her O-mouth grieves at the world; yours is unaffected,
And your first gift is making stone out of everything.
I wake to a mausoleum; you are here,
Ticking your fingers on the marble table, looking for cigarettes,
Spiteful as a woman, but not so nervous,
And dying to say something unanswerable.
The moon, too, abuses her subjects,
But in the daytime she is ridiculous.
Your dissatisfactions, on the other hand,
Arrive through the mailslot with loving regularity,
White and blank, expansive as carbon monoxide.
No day is safe from news of you,
Walking about in Africa maybe, but thinking of me.
*************
La Rivale - Sylvia Plath (Luglio 1961)
Se la luna sorridesse, ti somiglierebbe.
Lasci la stessa impressione
di una grande bellezza, ma annientatrice.
Siete tutte e due grandi accaparratrici di luce.
La sua bocca ad O piange per il mondo; la tua resta immutata,
e il tuo primo dono è di trasformare in pietra ogni cosa.
Mi sveglio ad un mausoleo; tu sei qui,
tamburelli le dita sul tavolo di marmo, cerchi le sigarette,
malevola come una donna, ma non così apprensiva,
muori dalla voglia di dire qualcosa che non ammetta risposta.
Anche la luna umilia i suoi sudditi,
ma di giorno è ridicola.
Le tue insoddisfazioni, invece,
arrivano nella cassetta della posta con amorosa regolarità,
bianche e vacue, espansive come monossido di carbonio.
Non c'è giorno al riparo da tue notizie,
sei a spasso per l'Africa, magari, ma pensi a me.
ma come, hai cancellato quei due magnifici commenti-spam americani (o inglesi)? ne ricevi parecchi? li selezioni tutti o si filtrano in qualche maniera automaticamente?
RispondiEliminasì, ne ricevo tanti, e sono una infame seccatura. Qualcuno sfugge all'antispam.
RispondiEliminaE questa, che mi decido a proporre dopo tanti ripensamenti, è la terribile poesia dedicata a suo padre Otto, di origine tedesca (come pure tedesco era il suo carattere).
RispondiEliminaDADDY - SYLVIA PLATH
You do not do, you do not do
Any more, black shoe
In which I have lived like a foot
For thirty years, poor and white,
Barely daring to breathe or Achoo.
Daddy, I have had to kill you.
You died before I had time--
Marble-heavy, a bag full of God,
Ghastly statue with one gray toe
Big as a Frisco seal
And a head in the freakish Atlantic
Where it pours bean green over blue
In the waters off beautiful Nauset.
I used to pray to recover you.
Ach, du.
In the German tongue, in the Polish town
Scraped flat by the roller
Of wars, wars, wars.
But the name of the town is common.
My Polack friend
Says there are a dozen or two.
So I never could tell where you
Put your foot, your root,
I never could talk to you.
The tongue stuck in my jaw.
It stuck in a barb wire snare.
Ich, ich, ich, ich,
I could hardly speak.
I thought every German was you.
And the language obscene
An engine, an engine
Chuffing me off like a Jew.
A Jew to Dachau, Auschwitz, Belsen.
I began to talk like a Jew.
I think I may well be a Jew.
The snows of the Tyrol, the clear beer of Vienna
Are not very pure or true.
With my gipsy ancestress and my weird luck
And my Taroc pack and my Taroc pack
I may be a bit of a Jew.
I have always been scared of you,
With your Luftwaffe, your gobbledygoo.
And your neat mustache
And your Aryan eye, bright blue.
Panzer-man, panzer-man, O You--
Not God but a swastika
So black no sky could squeak through.
Every woman adores a Fascist,
The boot in the face, the brute
Brute heart of a brute like you.
You stand at the blackboard, daddy,
In the picture I have of you,
A cleft in your chin instead of your foot
But no less a devil for that, no not
Any less the black man who
Bit my pretty red heart in two.
I was ten when they buried you.
At twenty I tried to die
And get back, back, back to you.
I thought even the bones would do.
But they pulled me out of the sack,
And they stuck me together with glue.
And then I knew what to do.
I made a model of you,
A man in black with a Meinkampf look
And a love of the rack and the screw.
And I said I do, I do.
So daddy, I'm finally through.
The black telephone's off at the root,
The voices just can't worm through.
If I've killed one man, I've killed two--
The vampire who said he was you
And drank my blood for a year,
Seven years, if you want to know.
Daddy, you can lie back now.
There's a stake in your fat black heart
And the villagers never liked you.
They are dancing and stamping on you.
They always knew it was you.
Daddy, daddy, you bastard, I'm through.
12 October 1962
e questa è la traduzione in italiano di Daddy - Sylvia Plath:
EliminaPAPA' - SYLVIA PLATH
Non mi vai più, no
non mi vai più, scarpa nera,
in cui per trent'anni ho vissuto
come un piede, povera e bianca,
senza osare respiro o starnuto.
Ho dovuto ucciderti, papà.
Sei morto prima che avessi il tempo--
Pesante come marmo, otre pieno di Dio,
orrida statua con un alluce grigio,
grosso come una foca di Frisco
e la testa nell'Atlantico bizzarro
dove fiotta verde oliva sul blu
nelle acque della bella Nauset.
Pregavo per riaverti, un tempo.
Ach, du.
In lingua tedesca, nel paese polacco
spianato dal rullo compressore
di guerre, guerre, guerre.
Ma il nome del paese è comune.
Il mio amico polacco dice
che ce n'è dozzine.
E così non ho mai saputo
dove piantasti il piede, la radice,
e di parlarti non mi è mai riuscito.
la lingua mi si attaccava al palato,
presa in trappola dal filo spinato.
Ich, ich, ich, ich,
e sempre mi bloccavo lì.
Ogni tedesco mi sembrava te
e la lingua era oscena,
una locomotiva, un treno
che mi portava via ciuff ciuff come un ebreo.
Un ebreo ad Auschwitz, Belsen, Dachau.
Ho cominciato a parlare da ebrea.
potrei anche esserlo, ebrea.
Le nevi del Tirolo, la birra chiara di Vienna
non sono così genuine e pure.
Con l'ava zingara e la mia strana sorte
e il mio mazzo di tarocchi, le mie carte,
un po' ebrea lo sono forse.
Mi hai sempre fatto paura, tu.
con la tua Luftwaffe, il tuo ostrogoto,
il tuo baffetto ben curato,
l'occhio ariano, così blu.
Uomo-panzer, uomo panzer, ah tu---
Non Dio, una svastica piuttosto,
così nera che il cielo si arresta.
Tutte le donne amano il fascista,
lo stivale in faccia, il brutale
cuore brutale di un bruto par tuo.
Nella foto che ho di te, papà,
sei ritto davanti alla lavagna.
Invece del piede hai il mento fesso,
ma sei un diavolo lo stesso,
sei sempre l'uomo nero che
azzannò e squarciò in due il mio cuore rosso.
Ti seppellirono che avevo dieci anni.
A venti cercai di morire
e tornare, tornare, tornare da te.
Anche le ossa potevano bastare.
Ma mi tirarono fuori dal sacco,
e mi rincollarono pezzo su pezzo.
E allora capii cosa fare.
Mi fabbricai un modello di te,
un uomo in nero con un'aria da Meinkampf,
un amante del bastone e del torchio.
E pronunciai il mio sì, il mio sì.
Eccomi dunque alla fine, papà.
Il telefono nero è strappato,
sradicato, le voci non ci strisciano più.
Se ho ucciso un uomo, ho fatto il bis--
Il vampiro che si spacciò per te
e mi succhiò il sangue per un anno,
per sette, se proprio vuoi saperlo, va'!
Torna pure nella fossa, papà.
C'è un palo nel tuo cuoraccio nero
e a quelli del paese non sei mai piaciuto.
Adesso ballano e ti pestano coi piedi.
Che eri tu l'hanno sempre saputo.
Papà, papà, bastardo, è finita.
12 ottobre 1962
Questa terribile poesia fa il paio con la prima che ho proposto (Le Muse inquietanti) dedicata alla madre. Sono entrambe una sorta di testamento spirituale, piene di accuse, sofferenza, desiderio d'amore frustrato. Tuttavia, in Daddy, ci sono due righe particolari (... le nevi del Tirolo, la birra chiara di Vienna/ non sono così genuine e pure...), in cui Sylvia, forse per dispetto, insinua la possibilità di essere stata concepita in una relazione clandestina della madre (austriaca) con un ebreo. Io credo sia solo la frequente e rabbiosa sensazione, per non dire speranza, comune a molti figli trascurati o tartassati di provenire da altri lombi, migliori e assai diversi da quelli ufficiali.
EliminaIn altre righe (... e pronunciai il mio sì...) ecco un'altra accusa pesante: l'avere avuto un padre terribilmente severo e incapace d'amare costringe una bambina, rimasta orfana a dieci anni, a restare bloccata tutta la vita a quell'età e a in quella condizione di orfana fino a non diventare mai adulta, per finire poi prigioniera di un uomo-copia del padre perduto, ossia un altro bastardo. Ma quando Sylvia scrive questa poesia, finalmente è libera da entrambi, anche se le cicatrici sono profondissime.
It's the best time to make some plans for the future and it's time to be happy. I've read this post and if I could I want to suggest you few interesting things or advice. Maybe you can write next articles referring to this article. I desire to read even more things about it!
RispondiEliminaLa meravigliosa Ariel, rarefatta e ritmata sulla velocità del pensiero. Quasi un rap disperato.
RispondiEliminaARIEL - SYLVIA PLATH
Stasis in darkness.
Then the substanceless blue
Pour of tor and distances.
God's lioness,
How one we grow,
Pivot of heels and knees! -- The furrow
Splits and passes, sister to
The brown arc
Of the neck I cannot catch,
Nigger-eye
Berries cast dark
Hooks --
Black sweet blood mouthfuls,
Shadows.
Something else
Hauls methrough air --
Thighs, hair;
Flakes from my heels.
White
Godiva, I unpeel --
Dead hands, dead stringencies.
And now I
Foam to wheat, a glitter of seas.
The child's cry
Melts in the wall.
And I
Am the arrow,
The dew that flies
Suicidal, at one with the drive
Into the red
Eye, the cauldron of morning.
27 october 1962
ARIEL - SYLVIA PLATH
Stasi nel buio. Poi
l'insostanziale azzurro
riversarsi di altura e distanze.
Leonessa di Dio,
come ci compenetriamo,
perno di talloni e ginocchia! - Il solco
si fende e passa, sorella
al bruno arco
del collo che non posso afferrare,
bacche occhi-di-negro
gettano oscuri
uncini -
Boccate di un nero dolce sangue,
ombre.
Qualcos'altro
mi tira su nell'aria -
cosce, capelli;
dai miei calcagni si squama.
Bianca
Godiva, mi spoglio -
morte mani, morte costrizioni.
E adesso io
spumeggio al grano, scintillio di mari.
Il pianto del bambino
nel muro si dissollve.
E io
sono la freccia,
la rugiada che vola
suicida, in una con la spinta
dentro il rosso
occhio cratere del mattino.
«Forse quando sentiamo che vogliamo tutto è perché siamo pericolosamente vicini a non volere niente. Il non volere niente ha due estremi: o uno è del tutto realizzato e ricco e ha una tale quantità di mondi interiori che quello esteriore non gli serve per provare gioia, perché la gioia emana dal centro del suo essere; oppure uno è morto e marcito dentro e questo mondo non ha niente da dargli».
RispondiEliminaSylvia Plath, “Diari”
la rubo a "Il mestiere di scrivere", perché questa frase è di tutti noi, che conosciamo bene persone di entrambi i tipi, nella vita reale come in quella virtuale. Ci sono persone meravigliose, piene di idee, persone rasserenanti o competenti o impegnate. E poi c'è la massa dei morti, che postano frasi di libri che non leggono, o musica che non ascoltano nei concerti, o quadri che non hanno mai visto dal vero, o foto di luoghi che non vedranno mai; e per questo si sentono grandi senza spostarsi dal divano. Lentamente muore chi non legge, non viaggia o non ascolta musica, diceva Martha Medeiros.
Archivio > La Repubblica > 2009 > 03 > 24 >
RispondiEliminaSYLVIA PLATH IL FANTASMA DI UNA MADRE
QUARANTASEI anni dopo il suicido di sua madre, la poetessa Sylvia Plath, Nicholas Hughes si è impiccato nella sua casa in Alaska. Da anni combatteva contro la depressione. Aveva lasciato la cattedra di Scienze oceaniche all'università di Fairbanks per mettere su una fabbrica di ceramiche. Nicholas Hughes era nato 47 anni fa dal matrimonio fra la Plath e Ted Hughes, anche lui poeta. Non era sposato e non aveva figli. Si è ucciso il 16 marzo scorso, ma la notizia è stata diffusa l' altro ieri sul Times dalla sorella Frieda. Sylvia Plath si uccise nel 1963 con il gas. Sei anni dopo anche la nuova compagna di Ted Hughes, Assia Wevill, si tolse la vita allo stesso modo e morì anche la figlioletta della coppia. Sul poeta britannico cadde la colpa di aver spinto entrambe le donne al suicidio con i suoi adulteri. La sua versione dei fatti fu raccontata poco prima della morte, nel 1998, in Lettere di compleanno. Non deve essere facile trovare un posto nel mondo sapendo che tua madre si è tolta la vita quando tu eri poco più di un neonato. Ancor meno deve esserlo se lei lo ha fatto in cucina, infilando la testa nel forno mentre tu, ignaro, dormivi nella camera accanto insieme alla sorellina di due anni. Se poi il gesto estremo diventa un mito della letteratura moderna e trasforma tua madre in un oggetto di culto, vivere può rivelarsi intollerabile. Nicholas Hughes, figlio di Sylvia Plath, si è impiccato la scorsa settimana. Viveva immerso nei paesaggi aspri e selvaggi dell' Alaska. Aveva ereditato la passione per il mare e i pesci dal padre Ted che amava esaltare la potenza della natura nei suoi versi. Pare che nonostante tutto avesse mantenuto un entusiasmo e un' innocenza quasi infantili. Ma il difficile equilibrio deve essersi spezzato. I fantasmi del passato hanno preso il sopravvento. «Ha lottato per qualche tempo contro la depressione» spiega la sorella Frieda. Si dice spesso che la tendenza al suicidio sia ereditaria. Il caso di Sylvia Plath è però assai aggrovigliato e non può essere ridotto a una questione di tara genetica. Che la scrittrice soffrisse di manie depressive è fuor di dubbio, così com'è certo che i tre elettroshock cui fu sottoposta da ragazza non l'hanno aiutata. Furono tuttavia altre le questioni sollevate all'indomani del ritrovamento del cadavere, l'11 febbraio 1963. Si parlò di pene d' amore, di tradimento, di un celebrato quanto egoista poeta inglese che aveva abbandonato una dotata quanto fragile poetessa americana per un'altra donna. Sylvia e Ted si erano conosciuti sette anni prima, a Cambridge. Nata a Boston, Sylvia era una studentessa brillante con una sfrenata ambizione di imporsi nel mondo letterario. Ted era invece un giovanotto inglese dai progetti ancora confusi ma aveva comunque pubblicato alcune poesie, oggetto d' ammirazione per Sylvia. Al loro primo incontro lui rimase abbagliato dalla frangetta alla Veronica Lake di lei. Lei gli recitò a memoria i suoi versi. Si trovavano a una festa. Lui la invitò a ballare. Si ubriacarono e si baciarono. E con ciò giunse il momento poi diventato leggenda: i denti di lei affondarono a tal punto nella guancia di lui da farla sanguinare. Nei castigati anni Cinquanta si veniva chiacchierati per molto meno. Nel giro di pochi mesi la coppia finisce all'altare. All'inizio è una luna di miele, uniti dalla passione per la letteratura i due fanno avanti e indietro tra l'America e il vecchio continente. Con la nascita dei figli arrivano però i problemi, e alla frustrante routine della maternità si aggiungono le scappatelle di Ted, che alla fine preferirà gettarsi tra le braccia di un' altra, Assia Wevill. Per Sylvia inizia un periodo di ristrettezze economiche ma anche di intensa attività che culmina nel 1963 con la pubblicazione sotto pseudonimo del romanzo La campana di vetro. (1-segue)
(2-continua)Archivio > La Repubblica > 2009 > 03 > 24 >
EliminaSYLVIA PLATH IL FANTASMA DI UNA MADRE
L'accoglienza, pur non del tutto negativa, è tiepida e comunque inferiore alle speranzose attese dell' autrice, che sentiva la propria sensibilità schiacciata tra la voglia di affermarsi e il ruolo che la società del tempo imponeva a una donna. In capo a un mese, mette in camera i figli, sigilla porte e finestre della cucina, scrive un'ultima poesia e infila la testa nel forno. La tragedia ha un' assurda replica qualche tempo dopo. Perché il 23 marzo 1969, anche Assia Wevill si toglie la vita alla stessa maniera: con il gas del forno. Diversamente da Sylvia, però, decise di uccidere pure la figlia di quattro anni. L' ignominia si abbatté fatalmente su Ted Hughes. Il poeta fu accusato di essere un uomo dal cuore di pietra che aveva indotto due donne al suicidio; qualcuno tirò via a colpi di scalpello il suo cognome dalla tomba di Sylvia Plath. Lui si è chiuso in un impenetrabile silenzio finché non diede la propria versione dei fatti in una raccolta di poesie che fece scalpore. In una di queste, ricordando il primo momento d'amore con Sylvia, scrive: «Eri sottile, sinuosa, sfuggente come un pesce». Sinuosa e sfuggente come le creature amate da suo figlio Nicholas, verrebbe da aggiungere col senno di poi. Ma la catena dei suicidi è più lunga ancora. Nel 1974 si uccide con il gas Anne Sexton, amica di gioventù di Sylvia. Anni addietro, quando erano entrambe poetesse alle prime armi, si divertivano a chiacchierare al bar delle loro inclinazioni suicide. Chiacchierate che la Sexton ha rievocato in versi dopo la scomparsa di Sylvia: «Come hai potuto scivolare giù da sola /nella morte che così tanto e così a lungo ho desiderato /... la morte di cui così tanto parlavamo a Boston /mentre ci scolavamo tre martini extra dry». I gas con cui anche lei, in seguito, si tolse la vita furono però quelli di scarico di un' automobile. Con macabra ironia qualcuno ha commentato che fu costretta a optare per il garage perché in America i forni erano ormai tutti elettrici. L' amante del marito, l' amica, il figlio. Un cerchio inquietante che trascende i legami di sangue. Cos' è dunque il suicidio? Una malattia contagiosa, una perversa tentazione che si trasmette alla maniera dei virus? Le paurose ragioni che spingono un essere umano a rincorrere un suo simile verso l' eterna notte sono fatte di mistero, ma devono somigliare molto alle parole che Sylvia Plath appuntò in un gelido giorno d' inverno: «Parlo a Dio ma il cielo è vuoto».
TOMMASO PINCIO - Repubblica
«Fammi essere forte, forte di sonno e di intelligenza e forte di ossa e di fibra; fammi imparare, attraverso questa disperazione, a distribuirmi: a sapere dove e a chi dare, a riempire i brevi momenti e le chiacchiere casuali di quell’infuso speciale di devozione e amore che sono le nostre epifanie. A non essere amara. Risparmiamelo il finale, quel finale acido citrico aspro che scorre nelle vene delle donne in gamba e sole. Non farmi disperare al punto da buttar via il mio onore per la mancanza di consolazione; non farmi nascondere nell’alcool e non permettere che mi laceri per degli sconosciuti; non farmi essere tanto debole da raccontare agli altri come sanguino dentro; come giorno dopo giorno gocciola, si addensa e si coagula».
RispondiEliminaSylvia Plath, “Diari”
grazie a Il mestiere di scrivere
Hello there !
RispondiElimina“God, but life is loneliness, despite all the opiates, despite the shrill tinsel gaiety of "parties" with no purpose, despite the false grinning faces we all wear. And when at last you find someone to whom you feel you can pour out your soul, you stop in shock at the words you utter - they are so rusty, so ugly, so meaningless and feeble from being kept in the small cramped dark inside you so long. Yes, there is joy, fulfillment and companionship - but the loneliness of the soul in its appalling self-consciousness is horrible and overpowering.”
Sylvia Plath
“Dio, la vita è davvero solitudine, malgrado tutti gli oppiacei, malgrado la stridula, effimera allegria delle “feste” senza scopo, malgrado il falso sorriso che tutti noi indossiamo. E quando alla fine trovi qualcuno in cui pensi di poter riversare la tua anima, ti blocchi di colpo davanti alla tue stesse parole – sono così ruvide, brutte, senza senso e fiacche avendole tenute stipate così a lungo nel buio dentro di te.
EliminaSì, c’è l’allegria, il successo, lo stare insieme - ma la solitudine dell’anima, nella sua spaventosa autocoscienza, è insopportabile, travolgente.”
Sylvia Plath - Diari
This text is priceless.
LOVE LETTER - SYLVIA PLATH
RispondiEliminaNot easy to state the change you made.
If I’m alive now, then I was dead,
Though, like a stone, unbothered by it,
Staying put according to habit.
You didn’t just tow me an inch, no-
Nor leave me to set my small bald eye
Skyward again, without hope, of course,
Of apprehending blueness, or stars.
That wasn’t it. I slept, say: a snake
Masked among black rocks as a black rock
In the white hiatus of winter-
Like my neighbors, taking no pleasure
In the million perfectly-chiseled
Cheeks alighting each moment to melt
My cheeks of basalt. They turned to tears,
Angels weeping over dull natures,
But didn’t convince me. Those tears froze.
Each dead head had a visor of ice.
And I slept on like a bent finger.
The first thing I was was sheer air
And the locked drops rising in dew
Limpid as spirits. Many stones lay
Dense and expressionless round about.
I didn’t know what to make of it.
I shone, mice-scaled, and unfolded
To pour myself out like a fluid
Among bird feet and the stems of plants.
I wasn’t fooled. I knew you at once.
Tree and stone glittered, without shadows.
My finger-length grew lucent as glass.
I started to bud like a March twig:
An arm and a leg, and arm, a leg.
From stone to cloud, so I ascended.
Now I resemble a sort of god
Floating through the air in my soul-shift
Pure as a pane of ice. It’s a gift.
16 october 1960
LETTERA D'AMORE - SYLVIA PLATH
Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov’ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po’ col piede, no -
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l’azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell’inverno -
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l’aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt’intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d’uccello e gli steli delle piante
Non m’ingannai. Ti riconobbi all’istante.
Albero e pietra scintillavano, senz’ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per l’aria nella mia veste d’anima
pura come una lastra di ghiaccio. E’ un dono.
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EliminaCopio, posso? E grazieeee
RispondiEliminaBlackberrying by Sylvia Plath
RispondiEliminaNobody in the lane, and nothing, nothing but blackberries,
Blackberries on either side, though on the right mainly,
A blackberry alley, going down in hooks, and a sea
Somewhere at the end of it, heaving. Blackberries
Big as the ball of my thumb, and dumb as eyes
Ebon in the hedges, fat
With blue-red juices. These they squander on my fingers.
I had not asked for such a blood sisterhood; they must love me.
They accommodate themselves to my milkbottle, flattening their sides.
Overhead go the choughs in black, cacophonous flocks—
Bits of burnt paper wheeling in a blown sky.
Theirs is the only voice, protesting, protesting.
I do not think the sea will appear at all.
The high, green meadows are glowing, as if lit from within.
I come to one bush of berries so ripe it is a bush of flies,
Hanging their bluegreen bellies and their wing panes in a Chinese screen.
The honey-feast of the berries has stunned them; they believe in heaven.
One more hook, and the berries and bushes end.
The only thing to come now is the sea.
From between two hills a sudden wind funnels at me,
Slapping its phantom laundry in my face.
These hills are too green and sweet to have tasted salt.
I follow the sheep path between them. A last hook brings me
To the hills’ northern face, and the face is orange rock
That looks out on nothing, nothing but a great space
Of white and pewter lights, and a din like silversmiths
Beating and beating at an intractable metal.
ecco la traduzione:
EliminaANDAR PER MORE - SYLVIA PLATH
Nessuno sul sentiero, e niente, niente se non more,
more su entrambi i lati, ma soprattutto a destra,
un vialetto di more che scende a tornanti, e là dove finisce,
da qualche parte, un mare che si gonfia. More
grosse come il polpastrello del mio pollice e mute come occhi
ebano nelle siepi, grasse
di succhi rossoazzurri. E li scialacquano sulle mie dita.
Non avevo chiesto questa sorellanza di sangue: devono proprio amarmi.
Si adattano alla mia bottiglia del latte, comprimendosi i fianchi.
In alto vanno i gracchi, in neri stormi cacofonici -
brandelli di carta bruciata che turbinano in un cielo spazzato.
La loro è l'unica voce, e protesta, protesta.
Non credo che il mare apparirà.
Gli alti prati verdi ardono come se avessero dentro una luce.
Arrivo a un cespuglio di bacche così mature che è un cespuglio di mosche,
i ventri verdeazzurri e le lastre trasparenti delle ali sospesi in un paravento cinese.
Il banchetto di miele delle more le ha sopraffatte: credono nel paradiso.
Ancora un tornante, e le bacche e i cespugli sono finiti.
Adesso manca solo il mare.
Incanalato tra due colline un vento improvviso si riversa su di me,
schiaffeggiandomi col suo bucato fantasma.
Queste colline sono troppo verdi e dolci per aver assaggiato il sale.
Seguo il tratturo di pecore fra loro. Un ultimo tornante
mi porta al lato nord, una parete di roccia arancione
affacciata su nulla, nulla se non un vasto spazio
di luci bianche e color peltro, e un fragore come di argentieri
che battono e battono su un intrattabile metallo.
23 settembre 1961
La poesia che segue è nota sia come La luna e il cipresso, che come La luna e il tasso. Dopo quella originale, metterò entrambe le versioni.
RispondiEliminaTHE MOON AND THE YEW TREE - SYLVIA PLATH
This is the light of the mind, cold and planetary
The trees of the mind are black. The light is blue.
The grasses unload their griefs on my feet as if I were God
Prickling my ankles and murmuring of their humility
Fumy, spiritous mists inhabit this place.
Separated from my house by a row of headstones.
I simply cannot see where there is to get to.
The moon is no door. It is a face in its own right,
White as a knuckle and terribly upset.
It drags the sea after it like a dark crime; it is quiet
With the O-gape of complete despair. I live here.
Twice on Sunday, the bells startle the sky --
Eight great tongues affirming the Resurrection
At the end, they soberly bong out their names.
The yew tree points up, it has a Gothic shape.
The eyes lift after it and find the moon.
The moon is my mother. She is not sweet like Mary.
Her blue garments unloose small bats and owls.
How I would like to believe in tenderness -
The face of the effigy, gentled by candles,
Bending, on me in particular, its mild eyes.
I have fallen a long way. Clouds are flowering
Blue and mystical over the face of the stars
Inside the church, the saints will all be blue,
Floating on their delicate feet over the cold pews,
Their hands and faces stiff with holiness.
The moon sees nothing of this. She is bald and wild.
And the message of the yew tree is blackness - blackness and silence.
22 October 1961
ecco la prima traduzione:
EliminaLA LUNA E IL CIPRESSO - SYLVIA PLATH
Questa è la luce della memoria, fredda e planetaria.
Neri sono gli alberi della memoria, azzurra la luce.
L'erba riversa ai miei piedi, quasi io fossi Dio, le sue pene,
pungendomi le caviglie e mormorando umiltà.
Fumosi, spiritali vapori abitano questo luogo
Che una fila di lapidi separa dalla mia casa.
Insomma, non riesco a vedere il posto che ci aspetta.
La luna non è una porta ma precisamente una faccia
Bianca come una nocca e terribilmente sconvolta.
Attira il mare come un buio delitto, tranquilla
Nell'O della sua bocca spalancata e disperata. Io
Abito qui. La domenica due volte squassano il cielo
Le campane - otto lingue clamanti Resurrezione.
Placate, infine scandiscono i loro nomi.
Il cipresso punta in su, ha un profilo gotico.
Gli occhi seguendolo trovano la luna.
La luna è mia madre. Non è dolce come Maria.
Le sue azzurre vesti sprigionano pipistrelli e civette.
Come vorrei credere nella tenerezza -
Il volto dell'effigie, ingentilito da candele,
chino proprio su me, i miti occhi.
Fu lunga la mia caduta. Le nuvole fioriscono
Azzurre e mistiche sulla faccia delle stelle.
Dentro la chiesa, saranno tutti azzurri i santi che sfiorano coi teneri piedi i freddi banchi,
Le mani e le facce rigide di santità.
Niente di ciò vede la luna;è vuota e desolata.
E il messaggio del cipresso e nerezza - nerezza e silenzio.
e questa è la seconda, che preferisco:
EliminaLA LUNA E IL TASSO - SYLVIA PLATH
(traduzione di Anna Ravano)
Questa è la luce della mente, fredda e planetaria.
Gli alberi della mente sono neri. La luce è azzurra.
Le erbe mi riversano sui piedi le loro angosce come se fossi Dio,
pungendomi le caviglie e mormorando la loro umiltà.
Brume fumose, spiritali, abitano questo luogo
che una fila di lapidi separa dalla mia casa.
Non vedo proprio dove si possa andare.
La luna non è una porta. E' una vera faccia,
bianca come una nocca stravolta.
Si trascina dietro il mare come un delitto oscuro, è silenziosa,
la bocca fissa nell’O della disperazione. Io vivo qui.
La domenica le campane per due volte fanno trasalire il cielo--
otto grandi lingue che affermano la Resurrezione.
Alla fine rintoccano sobriamente i loro nomi.
Il tasso indica l’alto.Ha una forma gotica.
Gli occhi lo seguono e trovano la luna.
la luna è mia madre. Non è dolce come Maria.
Le sue vesti azzurre sprigionano pipistrelli e gufi.
Come vorrei credere nella tenerezza—-
il volto dell’effigie, addolcito dalle candele,
che china, proprio su di me, gli occhi soavi.
Sono caduta lontano.Le nuvole fioriscono
azzurre e mistiche sul volto delle stelle.
Dentro la chiesa, i santi saranno tutti azzurri,
fluttuanti su piedi delicati sopra i banchi freddi,
le mani e i volti rigidi di santità.
La luna non vede nulla di tutto questo. È calva e forsennata.
E il messaggio del tasso è il nero–il nero e il silenzio.
22 Ottobre 1961
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Elimina"E allora impara a vivere. Tagliati una bella porzione di torta con le posate d’argento. Impara come fanno le foglie a crescere sugli alberi. Apri gli occhi. Impara come fa la luna a tramontare nel gelo della notte prima di Natale. Apri le narici. Annusa la neve. Lascia che la vita accada..."
RispondiEliminaSylvia Plath
“I took a deep breath and listened to the old brag of my heart. I am, I am, I am.”
Sylvia Plath - from The Bell Jar
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RispondiEliminaSylvia Plath died in London, England on this day in 1963 (aged 30).
RispondiElimina“Mad Girl's Love Song"
I shut my eyes and all the world drops dead;
I lift my lids and all is born again.
(I think I made you up inside my head.)
The stars go waltzing out in blue and red,
And arbitrary blackness gallops in:
I shut my eyes and all the world drops dead.
I dreamed that you bewitched me into bed
And sung me moon-struck, kissed me quite insane.
(I think I made you up inside my head.)
God topples from the sky, hell's fires fade:
Exit seraphim and Satan's men:
I shut my eyes and all the world drops dead.
I fancied you'd return the way you said,
But I grow old and I forget your name.
(I think I made you up inside my head.)
I should have loved a thunderbird instead;
At least when spring comes they roar back again.
I shut my eyes and all the world drops dead.
(I think I made you up inside my head.)”
― Sylvia Plath
ecco la traduzione:
EliminaCANZONE D'AMORE DI UNA RAGAZZA FOLLE - SYLVIA PLATH
Io chiudo gli occhi e tutto il mondo muore;
Schiudo le palpebre e tutto rinasce.
(Sono convinta di averti inventato.)
Le stelle escon danzando in blu e rosso,
Oscurità arbitraria entra al galoppo:
Io chiudo gli occhi e tutto il mondo muore.
Sognai che mi stregavi nel mio letto
M’incantavi e baciavi alla follia.
(Sono convinta di averti inventato.)
Giù Dio dal cielo, spenti i fuochi inferni,
Fuori Serafini e schiere di Satana:
Io chiudo gli occhi e tutto il mondo muore.
Speravo che tornassi, l’hai promesso,
Ma ora invecchio e dimentico il tuo nome.
(Sono convinta di averti inventato.)
Dovevo amare un uccello del tuono:
Quelli tornan ruggendo a primavera.
Io chiudo gli occhi e tutto il mondo muore.
(Sono convinta di averti inventato.)
Remembering Sylvia Plath, who died on this day in 1963.
RispondiElimina"Lady Lazarus" by Sylvia Plath
I have done it again.
One year in every ten
I manage it--
A sort of walking miracle, my skin
Bright as a Nazi lampshade,
My right foot
A paperweight,
My face a featureless, fine
Jew linen.
Peel off the napkin
O my enemy.
Do I terrify?--
The nose, the eye pits, the full set of teeth?
The sour breath
Will vanish in a day.
Soon, soon the flesh
The grave cave ate will be
At home on me
And I a smiling woman.
I am only thirty.
And like the cat I have nine times to die.
This is Number Three.
What a trash
To annihilate each decade.
What a million filaments.
The peanut-crunching crowd
Shoves in to see
Them unwrap me hand and foot--
The big strip tease.
Gentlemen, ladies
These are my hands
My knees.
I may be skin and bone,
Nevertheless, I am the same, identical woman.
The first time it happened I was ten.
It was an accident.
The second time I meant
To last it out and not come back at all.
I rocked shut
As a seashell.
They had to call and call
And pick the worms off me like sticky pearls.
Dying
Is an art, like everything else.
I do it exceptionally well.
I do it so it feels like hell.
I do it so it feels real.
I guess you could say I've a call.
It's easy enough to do it in a cell.
It's easy enough to do it and stay put.
It's the theatrical
Comeback in broad day
To the same place, the same face, the same brute
Amused shout:
'A miracle!'
That knocks me out.
There is a charge
For the eyeing of my scars, there is a charge
For the hearing of my heart--
It really goes.
And there is a charge, a very large charge
For a word or a touch
Or a bit of blood
Or a piece of my hair or my clothes.
So, so, Herr Doktor.
So, Herr Enemy.
I am your opus,
I am your valuable,
The pure gold baby
That melts to a shriek.
I turn and burn.
Do not think I underestimate your great concern.
Ash, ash--
You poke and stir.
Flesh, bone, there is nothing there--
A cake of soap,
A wedding ring,
A gold filling.
Herr God, Herr Lucifer
Beware
Beware.
Out of the ash
I rise with my red hair
And I eat men like air.
23-29 October 1962
Ecco la traduzione:
EliminaLADY LAZARUS - SYLVIA PLATH
L'ho rifatto.
Un anno ogni dieci
mi riesce ---
una specie di miracolo ambulante, la mia pelle
splendente come un paralume nazista,
il piede destro
un fermacarte
il viso, anonima e fine
tela ebraica.
Solleva il panno,
o mio nemico,
Incuto terrore?----
Il naso, le occhiaie vuote, tutti i denti?
L'alito puzzolente
svanirà in un giorno.
Presto, presto la carne
che il severo sepolcro ha divorato
tornerà al suo posto su di me,
e sarò una donna sorridente.
Ho trent'anni soltanto.
E come i gatti ho nove volte per morire.
Questa è la Numero Tre.
Quanto ciarpame,
da annientare ogni decennio,
che miriade di filamenti.
La folla che sgranocchia noccioline
spintona per vedere
mentre vengo sbendata mani e piedi ---
il grande spogliarello.
Signori e signore,
ecco qua le mie mani,
le ginocchia.
Sarò pure pelle e ossa,
ma sono sempre la stessa identica donna.
La prima volta avevo dieci anni.
Fu un incidente.
La seconda volevo
andare fino in fondo senza ritorno.
Cullandomi mi chiusi
come una conchiglia.
Dovettero chiamare e chiamare
e staccarmi di dosso i vermi come perle appiccicose.
Morire
è un'arte, come qualunque altra cosa.
Io lo faccio in modo magistrale,
lo faccio che fa un effetto da impazzire
lo faccio che fa un effetto vero.
Potreste dire che ho la vocazione.
E' facile farlo in una cella.
E' facile farlo e rimanerci.
E' il teatrale
ritorno in scena in pieno giorno,
stesso posto, stessa faccia, stesso bestiale
urlo goduto:
"Miracolo!"
E' questo che mi stende.
Si paga
per vedere le mie cicatrici, si paga
per ascoltarmi il cuore ---
funziona eccome.
E si paga, si paga salato
per sentire una parola, per toccare,
per un goccio di sangue,
una ciocca di capelli, un brandello di veste.
E così, Herr Doktor,
e così, Herr Nemico.
Sono il tuo capolavoro,
il tuo bene più prezioso,
l'infante d'oro puro
che si scioglie in un grido.
Mi rigiro e brucio.
Non credere che sottovaluti le tue sollecite cure.
Cenere, cenere ---
Frughi e rimesti.
Carne, ossa, non ci sono resti ---
una saponetta,
una vera nuziale,
una capsula dentaria.
Herr Dio, Herr Lucifero
in guardia
in guardia.
Dalla cenere
sorgo con i miei capelli rossi
e divoro gli uomini come aria.
23-29 ottobre 1962
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RispondiElimina― Sylvia Plath, The Unabridged Journals of Sylvia Plath
RispondiEliminaDeparture, by Sylvia Plath
The figs on the fig tree in the yard are green;
Green, also, the grapes on the green vine
Shading the brickred porch tiles.
The money's run out.
How nature, sensing this, compounds her bitters.
Ungifted, ungrieved, our leavetaking.
The sun shines on unripe corn.
Cats play in the stalks.
Retrospect shall not often such penury-
Sun's brass, the moon's steely patinas,
The leaden slag of the world-
But always expose
The scraggy rock spit shielding the town's blue bay
Against which the brunt of outer sea
Beats, is brutal endlessly.
Gull-fouled, a stone hut
Bares its low lintel to corroding weathers:
Across the jut of ochreous rock
Goats shamble, morose, rank-haired,
To lick the sea-salt.
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RispondiElimina"Mushrooms"
RispondiElimina"Overnight, very
Whitely, discreetly,
Very quietly
Our toes, our noses
Take hold on the loam,
Acquire the air.
Nobody sees us,
Stops us, betrays us;
The small grains make room.
Soft fists insist on
Heaving the needles,
The leafy bedding,
Even the paving.
Our hammers, our rams,
Earless and eyeless,
Perfectly voiceless,
Widen the crannies,
Shoulder through holes. We
Diet on water,
On crumbs of shadow,
Bland-mannered, asking
Little or nothing.
So many of us!
So many of us!
We are shelves, we are
Tables, we are meek,
We are edible,
Nudgers and shovers
In spite of ourselves.
Our kind multiplies:
We shall by morning
Inherit the earth.
Our foot's in the door.”
― Sylvia Plath
vado con la traduzione:
RispondiEliminaFUNGHI - SYLVIA PLATH
Nottetempo,
bianchi, discreti,
senza rumore,
i nostri piedi, i nasi
fan loro l'argilla,
si prendono l'aria.
Nessuno ci vede,
ci ferma, ci tradisce;
i granelli fan posto.
Pugni soffici insistono
a spingere gli aghi,
il letto di foglie,
perfino il selciato.
I nostri martelli, i picchiotti
senz'orecchi, senz'occhi,
senza un filo di voce,
allargano crepe,
spingon su per i fori.
Di acqua viviamo,
di briciole d'ombra,
garbati, chiediamo
pochissimo, nulla.
Quanti siamo!
Quanti!
Siamo mensole,
tavoli, siamo miti,
mangerecci,
sgomitiamo e spingiamo
anche senza volere.
Ci moltiplichiamo:
ora di domattina
erediteremo la terra.
Siamo già sulla soglia.
13 novembre 1959
Ringrazio Titti per aver pubblicato questa testimonianza su Ted Hughes. Io continuo ad accusarlo, ma mi sembra corretto dare voce anche alla difesa...
RispondiEliminaCanzone d’amore – Ted Hughes (di tittideluca)
Lui la amava e lei lo amava
I suoi baci le risucchiavano via il passato e il futuro, o almeno ci provavano
Lui non aveva altro desiderio
Lei lo mordeva, lo rosicchiava, lo assaporava
Lo voleva completamente dentro di sé
Sano e salvo, sempre e per sempre
Le loro grida sommesse si perdevano fra le tende
Gli occhi di lei volevano che nulla svanisse
Gli sguardi di lei gli inchiodavano le mani, i polsi, i gomiti
Lui la teneva stretta affinché la vita
Non la sottraesse a quell’istante
Lui voleva che tutto il futuro cessasse di esistere
Desiderava cingerla con le sue braccia
Dall’orlo di quel momento e nel nulla
Per l’eternità o qualsiasi altra cosa fosse
L’abbraccio di lei era un’immensa pressa
Per stamparselo nelle ossa
I sorrisi di lui erano i soffitti d’un luogo fiabesco
Dove il mondo reale non sarebbe mai entrato
I sorrisi di lei erano morsi di ragno
Per immobilizzarlo finché ne avesse avuto fame
Le parole di lui erano come truppe d’occupazione
Le risate di lei le movenze di un assassino
Gli sguardi di lui erano stilettate di vendetta
Le occhiate di lei spettri che nascondono orrendi segreti
I sussurri di lui erano come frusta e stivali
I baci di lei avvocati che scrivono e scrivono
Le carezze di lui erano gli ultimi appigli d’un naufrago
I giochi amorosi di lei come serrature stridenti
E le loro alte grida strisciavano sul pavimento
Come un animale che si trascina dietro una potente trappola
Le promesse di lui erano il bavaglio del chirurgo
Quelle di lei gli aprivano il cranio
Lei se ne sarebbe fatta una spilla
I giuramenti di lui le prosciugavano tutte le energie
Lui le mostrava come fare un nodo d’amore
I giuramenti di lei gli mettevano gli occhi in formalina
In fondo al cassetto dei suoi segreti
Le loro urla si conficcavano nel muro
Le loro teste cedevano al sonno come le due metà
D’un melone tagliato, ma l’amore non si può fermare
Avvinti nel sonno si scambiavano braccia e gambe
In sogno i loro cervelli si prendevano in ostaggio a vicenda
Al mattino avevano l’uno il volto dell’altra
Ted Hughes (Traduzione di Anna Ravano e Nicola Gardini)
da “Poesie”, “I Meridiani” A. Mondadori Editore, 2008
Ed ecco la versione originale, sempre pubblicata da Titti:
EliminaLovesong - Ted Hughes
He loved her and she loved him.
His kisses sucked out her whole past and future or tried to
He had no other appetite
She bit him she gnawed him she sucked
She wanted him complete inside her
Safe and sure forever and ever
Their little cries fluttered into the curtains
Her eyes wanted nothing to get away
Her looks nailed down his hands his wrists his elbows
He gripped her hard so that life
Should not drag her from that moment
He wanted all future to cease
He wanted to topple with his arms round her
Off that moment’s brink and into nothing
Or everlasting or whatever there was
Her embrace was an immense press
To print him into her bones
His smiles were the garrets of a fairy palace
Where the real world would never come
Her smiles were spider bites
So he would lie still till she felt hungry
His words were occupying armies
Her laughs were an assassin’s attempts
His looks were bullets daggers of revenge
His glances were ghosts in the corner with horrible secrets
His whispers were whips and jackboots
Her kisses were lawyers steadily writing
His caresses were the last hooks of a castaway
Her love-tricks were the grinding of locks
And their deep cries crawled over the floors
Like an animal dragging a great trap
His promises were the surgeon’s gag
Her promises took the top off his skull
She would get a brooch made of it
His vows pulled out all her sinews
He showed her how to make a love-knot
Her vows put his eyes in formalin
At the back of her secret drawer
Their screams stuck in the wall
Their heads fell apart into sleep like the two halves
Of a lopped melon, but love is hard to stop
In their entwined sleep they exchanged arms and legs
In their dreams their brains took each other hostage
In the morning they wore each other’s face
Ted Hughes
from “Collected Poems of Ted Hughes”, Faber & Faber, 2012
ancora grazie a Titti:
RispondiEliminaRosso – Ted Hughes (di tittideluca)
Il rosso era il tuo colore.
Se non il rosso, il bianco. Ma il rosso
era quello di cui ti avvolgevi.
Rosso sangue. Era sangue?
Era ocra rossa, per riscaldare i morti?
Ematite per rendere immortali
le preziose ossa ereditate, le ossa di famiglia.
Quando riuscisti finalmente a fare a modo tuo
la nostra stanza fu rossa. Una camera di giudizio.
Scrigno chiuso per pietre preziose. Il tappeto di sangue
con motivi di oscuramenti, di rapprendimenti.
Le tende – sangue di velluto rubino,
cascate di sangue dal soffitto al pavimento.
I cuscini, lo stesso. Lo stesso
carminio crudo lungo il sedile sotto la finestra.
Una cella pulsante. Altare azteco – tempio.
Solo le librerie sfuggirono nel bianco.
E fuori dalla finestra
papaveri sottili, rugosi e fragili
come la pelle sul sangue,
salvie, di cui tuo padre ti aveva dato il nome,
come sangue che sprizza ad arco da uno squarcio,
e rose, le ultime gocce del cuore,
catastrofiche, arteriose, condannate.
La tua gonna lunga a ruota di velluto, una fascia di sangue,
un sontuoso bordò.
Le tue labbra un cremisi umido, intenso.
Adoravi il rosso.
Io lo sentivo carne viva – i margini netti come garza
di una ferita che si irrigidisce. Vi toccavo
la vena aperta, il luccichio incrostato.
Tutto quello che dipingevi lo dipingevi di bianco
e poi lo inondavi di rose, lo sconfiggevi,
ti chinavi sopra sgocciolando rose,
piangendo rose, e rose ancora,
poi a volte, tra le rose, un uccellino azzurro.
L’azzurro ti era più benefico. L’azzurro erano ali.
Sete azzurro martin pescatore venute da San Francisco
avvolsero la tua gravidanza
in carezze di crogiolo.
L’azzurro era il tuo spirito benevolo – non un demone predatore
ma elettrizzato, un custode, attento.
Nell’abisso del rosso
ti nascondesti per sfuggire al bianco della clinica d’ossa.
Ma la gemma che perdesti era azzurra.
Ted Hughes
(Traduzione di Anna Ravano)
da “Lettere di compleanno”, A. Mondadori Editore, 1999
‘***
Red
Red was your colour.
If not red, then white. But red
Was what you wrapped around you.
Blood-red. Was it blood?
Was it red-ochre, for warming the dead?
Haematite to make immortal
The precious heirloom bones, the family bones.
When you had your way finally
Our room was red. A judgement chamber.
Shut casket for gems. The carpet of blood
Patterned with darkenings, congealments.
The curtains – ruby corduroy blood,
Sheer blood-falls from ceiling to floor.
The cushions the same. The same
Raw carmine along the window-seat.
A throbbing cell. Aztec altar – temple.
Only the bookshelves escaped into whiteness.
And outside the window
Poppies thin and wrinkle-frail
As the skin on blood,
Salvias, that your father named you after,
Like blood lobbing from the gash,
And roses, the heart’s last gouts,
Catastrophic, arterial, doomed.
Your velvet long full skirt, a swathe of blood,
A lavish burgandy.
Your lips a dipped, deep crimson.
You revelled in red.
I felt it raw – like crisp gauze edges
Of a stiffening wound. I could touch
The open vein in it, the crusted gleam.
Everything you painted you painted white
Then splashed it with roses, defeated it,
Leaned over it, dripping roses,
Weeping roses, and more roses,
Then sometimes, among them, a little bluebird.
Blue was better for you. Blue was wings.
Kingfisher blue silks from San Francisco
Folded your pregnancy
In crucible caresses.
Blue was your kindly spirit – not a ghoul
But electrified, a guardian, thoughtful.
In the pit of red
You hid from the bone-clinic whiteness.
But the jewel you lost was blue.
Ted Hughes
from “Birthday Letters”, London: Faber and Faber, 1998
LOVE LETTER - SYLVIA PLATH
RispondiEliminaNot easy to state the change you made.
If I'm alive now, then I was dead,
Though, like a stone, unbothered by it,
Staying put according to habit.
You didn't just tow me an inch, no-
Nor leave me to set my small bald eye
Skyward again, without hope, of course,
Of apprehending blueness, or stars.
That wasn't it. I slept, say: a snake
Masked among black rocks as a black rock
In the white hiatus of winter-
Like my neighbors, taking no pleasure
In the million perfectly-chisled
Cheeks alighting each moment to melt
My cheeks of basalt. They turned to tears,
Angels weeping over dull natures,
But didn't convince me. Those tears froze.
Each dead head had a visor of ice.
And I slept on like a bent finger.
The first thing I was was sheer air
And the locked drops rising in dew
Limpid as spirits. Many stones lay
Dense and expressionless round about.
I didn't know what to make of it.
I shone, mice-scaled, and unfolded
To pour myself out like a fluid
Among bird feet and the stems of plants.
I wasn't fooled. I knew you at once.
Tree and stone glittered, without shadows.
My finger-length grew lucent as glass.
I started to bud like a March twig:
An arm and a leg, and arm, a leg.
From stone to cloud, so I ascended.
Now I resemble a sort of god
Floating through the air in my soul-shift
Pure as a pane of ice. It's a gift.
******
LETTERA D’AMORE - SYLVIA PLATH
Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov’ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po’ col piede, no -
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l’azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell’inverno -
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l’aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt’intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d’uccello e gli steli delle piante
Non m’ingannai. Ti riconobbi all’istante.
Albero e pietra scintillavano, senz’ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per l’aria nella mia veste d’anima
pura come una lastra di ghiaccio. E’ un dono.
“Yes, I was infatuated with you: I am still. No one has ever heightened such a keen capacity of physical sensation in me. I cut you out because I couldn’t stand being a passing fancy. Before I give my body, I must give my thoughts, my mind, my dreams. And you weren’t having any of those.”
RispondiElimina— Sylvia Plath, The Unabridged Journals of Sylvia Plath
SHEEP IN FOG - SYLVIA PLATH
RispondiEliminaThe hills step off into whitness
People or stars
Regard me sadly, I disappoint them
The train leaves a line of breath
O slow
Horse the colour of rust
Hooves, dolorous bells -
All morning the
Morning has been blackening.
A flower left out.
My bones hold a stillness, the far
Fields melt my heart.
They threaten
To let me through to a heaven
Starless and fatherless, a dark water.
PECORE NELLA NEBBIA - SYLVIA PLATH
Le colline digradano nel bianco.
Persone o stelle
Mi guardano con tristezza, le deludo.
Il treno si lascia dietro una riga di fiato.
Oh lento
cavallo color della ruggine,
zoccoli, dolorose campane ---
E' tutta mattina che
la mattina sta annerendo,
un fiore lasciato fuori.
Le mie ossa racchiudono un'immobilità, i campi
lontani mi sciolgono il cuore.
Minacciano
di lasciarmi entrare in un cielo
senza stelle né padre, un'acqua scura.
"A Winter Ship" by Sylvia Plath
RispondiEliminaAt this wharf there are no grand landings to speak of.
Red and orange barges list and blister
Shackled to the dock, outmoded, gaudy,
And apparently indestructible.
The sea pulses under a skin of oil.
A gull holds his pose on a shanty ridgepole,
Riding the tide of the wind, steady
As wood and formal, in a jacket of ashes,
The whole flat harbor anchored in
The round of his yellow eye-button.
A blimp swims up like a day-moon or tin
Cigar over his rink of fishes.
The prospect is dull as an old etching.
They are unloading three barrels of little crabs.
The pier pilings seem about to collapse
And with them that rickety edifice
Of warehouses, derricks, smokestacks and bridges
In the distance. All around us the water slips
And gossips in its loose vernacular,
Ferrying the smells of cod and tar.
Farther out, the waves will be mouthing icecakes —-
A poor month for park-sleepers and lovers.
Even our shadows are blue with cold.
We wanted to see the sun come up
And are met, instead, by this iceribbed ship,
Bearded and blown, an albatross of frost,
Relic of tough weather, every winch and stay
Encased in a glassy pellicle.
The sun will diminish it soon enough:
Each wave-tip glitters like a knife.
"Cinderella" by Sylvia Plath
RispondiEliminaThe prince leans to the girl in scarlet heels,
Her green eyes slant, hair flaring in a fan
Of silver as the rondo slows; now reels
Begin on tilted violins to span
The whole revolving tall glass palace hall
Where guests slide gliding into light like wine;
Rose candles flicker on the lilac wall
Reflecting in a million flagons' shine,
And glided couples all in whirling trance
Follow holiday revel begun long since,
Until near twelve the strange girl all at once
Guilt-stricken halts, pales, clings to the prince
As amid the hectic music and cocktail talk
She hears the caustic ticking of the clock.
L’ACROBATA di Sylvia Plath
RispondiEliminaOgni notte quest’agile giovane donna
Riposa fra lenzuoli
A brandelli sottili come fiocchi di neve
Finché un sogno non ne solleva il corpo
Dal letto ad ardue sfide
D’acrobazie sul filo.
Tutta la notte in equilibrio
Con destrezza da gatta sulla perigliosa fune
In una sala gigantesca
Balla delicate danze
Allo schiocco di frusta ed al ruggito
Degli ordini del suo maestro.
Dorata, avanza precisa
Attraverso quell’aria greve.
Un passo e si ferma, sospesa
Al fulcro del suo gesto
Mentre grossi pesi le cadono attorno
Ed incominciano a volteggiare.
Addestrata a tal punto, la ragazza
Para l’affondo e la minaccia
Di qualunque oscillazione;
Con un improvviso slancio e una piroetta
Chiama l’applauso, la corda luccicante
Le affonda affilata in ogni coraggioso arto.
Poi, finito il difficile esercizio, fa un inchino
E serenamente si lancia giù
attraverso il pavimento di vetro
in salvo verso casa; ma, roteando occhi allenati
un domatore di tigri ed un pagliaccio sogghignante
si accovacciano, lanciandole palle nere.
Alti carri rotolano dentro
Con tuono di leoni; tutto s’adopera
Ed avanza sgraziato
Per intrappolare questa oltraggiosa leggera regina
E sbriciolare in atomi
Le sue nove vite cosi inafferrabili.
Ma lei s’accorge dello stratagemma
Di pesi neri, palle nere e carri neri
E con un’ultima abile finta salta
Attraverso il cerchio del suo rischioso sogno
Per balzar su seduta del tutto desta
All’arrestarsi dello squillo della sveglia.
Ora come punizione per il suo talento
Di giorno è costretta a camminare temendo
I guanti d’acciaio del traffico, terrorizzata
Dalla paura che, per dispetto, tutta
L’elaborata impalcatura del cielo sopra la sua testa
Cada alla fine fragorosamente sulla sua fortuna.
*********
AERIALIST
Each night this adroit young lady
Lies among sheets
Shredded fine as snowflakes
Until dream takes her body
From bed to strict tryouts
In tightrope acrobatics.
Nightly she balances
Cat-clever on perilous wire
In a gigantic hall,
Footing her delicate dances
To whipcrack and roar
Which speak her maestro’s will.
Gilded, coming correct
Across that sultry air.
She steps, halts, hung
In dead center of her act
As great weights drop all about her
And commence to swing.
Lessoned thus, the girl
Parries the lunge and menace
Of every pendulum;
By deft duck and twirl
She draws applause; bright harness
Bites keen into each brave limb.
Then, this tough stint done, she curtsies
And serenely plummets down
To traverse glass floor
And get safe home; but, turning with trained eyes,
Tiger-tamer and grinning clown
Squat, bowling black balls at her.
Tall trucks roll in
With a thunder like lions; all aims
And lumbering moves
To trap this outrageous nimble queen
And shatter to atoms
Her nine so slippery lives.
Sighting the stratagem
Of black weight, black ball, black truck,
With a last artful dodge she leaps
Through hoop of that hazardous dream
To sit up stark awake
As the loud alarmclock stops.
Now as penalty for her skill,
By day she must walk in dread
Steel gaunticts of traffic, terror-struck
Lest, out of spite, the whole
Elaborate scaffold of sky overhead
Fall racketing finale on her luck.
(traduzione di Orsola Puecher)
Kindness by Sylvia Plath
RispondiEliminaKindness glides about my house.
Dame Kindness, she is so nice!
The blue and red jewels of her rings smoke
In the windows, the mirrors
Are filling with smiles.
What is so real as the cry of a child?
A rabbit's cry may be wilder
But it has no soul.
Sugar can cure everything, so Kindness says.
Sugar is a necessary fluid,
Its crystals a little poultice.
O kindness, kindness
Sweetly picking up pieces!
My Japanese silks, desperate butterflies,
May be pinned any minute, anesthetized.
And here you come, with a cup of tea
Wreathed in steam.
The blood jet is poetry,
There is no stopping it.
You hand me two children, two roses.
"Morning Song" by Sylvia Plath (1932 - 1963)
RispondiEliminaLove set you going like a fat gold watch.
The midwife slapped your footsoles, and your bald cry
Took its place among the elements.
Our voices echo, magnifying your arrival. New statue.
In a drafty museum, your nakedness
Shadows our safety. We stand round blankly as walls.
I’m no more your mother
Than the cloud that distills a mirror to reflect its own slow
Effacement at the wind’s hand.
All night your moth-breath
Flickers among the flat pink roses. I wake to listen:
A far sea moves in my ear.
One cry, and I stumble from bed, cow-heavy and floral
In my Victorian nightgown.
Your mouth opens clean as a cat’s. The window square
Whitens and swallows its dull stars. And now you try
Your handful of notes;
The clear vowels rise like balloons.
*
Celebrating mothers and daughters, mothers and sons, grandmothers and grandchildren, Motherhood is a glorious, wonderfully intimate tribute to the first love in every reader’s life.
From tenth-century Japan’s Izumi Shikibu, colonial America’s Anne Bradstreet, and Victorian England’s Elizabeth Barrett Browning to Israel’s Yehuda Amichai, Ireland’s Paul Muldoon, and Russia’s Anna Akhmatova, poets across the centuries and around the world have immortalized this elemental relationship. Among the more than seventy poets in this anthology, Audre Lorde recalls “How the days went / While you were blooming within me”; Jorie Graham muses on her mother’s sewing box; Allen Ginsberg says goodbye in “Kaddish”; and Langston Hughes invokes a mother’s empowering example: “Don’t you fall now— / For I’se still goin’, honey, / I’se still climbin’, / And life for me ain’t been no crystal stair.” From Emily Brontë’s “Upon Her Soothing Breast” and Seamus Heaney’s “Mother of the Groom” to Sylvia Plath’s “Morning Song” and Frank O’Hara’s “Ave Maria,” the more than one hundred poems collected here enshrine the miracle of motherhood and the richness of feeling and experience it inspires.
Everyman's library
Ecco la traduzione:
EliminaCANTO DEL MATTINO - SYLVIA PLATH
L'amore ti ha messo in moto come un grasso orologio d'oro.
La levatrice ti ha schiaffeggiato sotto i piedi e il tuo nudo grido
ha preso il suo posto fra gli elementi.
Le nostre voci echeggiano, esaltando il tuo arrivo. Nuova statua.
In un museo pieno di correnti, la tua nudità
è ombra sulla nostra sicurezza. Ti stiamo intorno vacui in viso come pareti.
Non sono tua madre più di quanto
lo sia la nuvola che distilla uno specchio per riflettere la propria lenta
cancellazione per mano del vento.
Per tutta la notte il tuo respiro di falena
tremola tra le piatte rose rosa. Veglio per ascoltare:
un mare lontano si muove nel mio orecchio.
Un grido, e scendo dal letto incespicando, pesante come una mucca e floreale
nella mia camicia da notte vittoriana.
La tua bocca si apre pulita come quella di un gatto. Il riquadro della finestra
s'imbianca e inghiotte le sue opache stelle. E ora tu provi
la tua manciata di note;
Le vocali chiare salgono come palloncini.
19 febbraio 1961
TULIPANI - SYLVIA PLATH
RispondiElimina(di tittideluca)
I tulipani sono troppo eccitabili, qui è inverno.
Guarda com’è tutto bianco, quieto, coperto di neve.
Sto imparando la pace, distesa quietamente, sola,
come la luce posa su queste pareti bianche, questo letto, queste mani.
Non sono nessuno; non ho nulla a che fare con le esplosioni.
Ho consegnato il mio nome e i miei vestiti alle infermiere,
la mia storia all’anestesista e il mio corpo ai chirurghi.
Mi hanno sistemato la testa fra il cuscino e il risvolto del lenzuolo
come un occhio fra due palpebre bianche che non vogliono chiudersi.
Stupida pupilla, deve assorbire tutto.
Le infermiere passano e ripassano, non danno disturbo,
passano come gabbiani diretti nell’interno, in cuffia bianca,
le mani affaccendate, ciascuna identica all’altra,
sicché è impossibile dire quante sono.
Il mio corpo è un ciottolo per loro, lo accudiscono come l’acqua
accudisce i ciottoli su cui deve scorrere, lisciandoli piano.
Mi portano il torpore nei loro aghi lucenti, mi portano il sonno.
Ora che ho perso me stessa , sono stanca di bagagli —
la mia ventiquattrore di vernice come un portapillole nero,
mio marito e mia figlia che sorridono dalla foto di famiglia;
i loro sorrisi mi si agganciano alla pelle, ami sorridenti.
Ho lasciato scivolar via le cose, cargo di trent’anni
ostinatamente attaccata al mio nome e al mio indirizzo.
Con l’ovatta mi hanno ripulito dei miei legami affettivi.
Impaurita e nuda sulla barella col cuscino di plastica verde
ho visto il mio servizio da tè, i cassettoni della biancheria, i miei libri
affondare e sparire, e l’acqua mi ha sommerso.
Sono una suora, adesso, non sono mai stata così pura.
Io non volevo fiori, volevo solamente
giacere con le palme arrovesciate ed essere vuota, vuota.
Come si è liberi, non ti immagini quanto—
È una pace così grande che ti stordisce,
e non chiede nulla, una targhetta col nome, poche cose.
È a questo che si accostano i morti alla fine; li immagino
chiudervi sopra la bocca come un’ostia della Comunione.
Sono troppo rossi anzitutto, questi tulipani, mi fanno male.
Li sentivo respirare già attraverso la carta, un respiro
sommesso, attraverso le fasce bianche, come un neonato spaventoso.
Il loro rosso parla alla mia ferita, vi corrisponde.
Sono subdoli: sembrano galleggiare, e invece sono un peso,
mi agitano con le loro lingue improvvise e il loro colore,
dodici rossi piombi intorno al collo.
Nessuno mi osservava prima, ora sono osservata.
I tulipani si volgono a me, e dietro a me alla finestra,
ove una volta al giorno la luce si allarga lenta e lenta si assottiglia,
e io mi vedo, piatta, ridicola, un’ombra di carta ritagliata
tra l’occhio del sole e gli occhi dei tulipani,
e non ho volto, ho voluto cancellarmi.
I vividi tulipani mangiano il mio ossigeno.
Prima del loro arrivo l’aria era calma,
andava e veniva, un respiro dopo l’altro, senza dar fastidio.
Poi i tulipani l’hanno riempita come un frastuono.
Ora s’impiglia e vortica intorno a loro così come un fiume
s’impiglia e vortica intorno a un motore affondato rosso di ruggine.
Concentrano la mia attenzione, che era felice
di vagare e riposare senza farsi coinvolgere.
Anche le pareti sembrano riscaldarsi.
I tulipani dovrebbero essere in gabbia come animali pericolosi,
si aprono come la bocca di un grande felino africano,
e io mi accorgo del mio cuore, che apre e chiude
la sua coppa di fiori rossi per l’amore che mi porta.
L’acqua che sento sulla lingua è calda e salata, come il mare,
e viene da un Paese lontano quanto la salute.
Sylvia Plath
18 marzo 1961
(Traduzione di Anna Ravano)
da “Ariel”, in “I capolavori di Sylvia Plath”, Mondadori, Milano, 2004
TULIPS - SYLVIA PLATH
EliminaThe tulips are too excitable, it is winter here.
Look how white everything is, how quiet, how snowed-in
I am learning peacefulness, lying by myself quietly
As the light lies on these white walls, this bed, these hands.
I am nobody; I have nothing to do with explosions.
I have given my name and my day-clothes up to the nurses
And my history to the anaesthetist and my body to surgeons.
They have propped my head between the pillow and the sheet-cuff
Like an eye between two white lids that will not shut.
Stupid pupil, it has to take everything in.
The nurses pass and pass, they are no trouble,
They pass the way gulls pass inland in their white caps,
Doing things with their hands, one just the same as another,
So it is impossible to tell how many there are.
My body is a pebble to them, they tend it as water
Tends to the pebbles it must run over, smoothing them gently.
They bring me numbness in their bright needles, they bring me sleep.
Now I have lost myself I am sick of baggage—
My patent leather overnight case like a black pillbox,
My husband and child smiling out of the family photo;
Their smiles catch onto my skin, little smiling hooks.
I have let things slip, a thirty-year-old cargo boat
Stubbornly hanging on to my name and address.
They have swabbed me clear of my loving associations.
Scared and bare on the green plastic-pillowed trolley
I watched my teaset, my bureaus of linen, my books
Sink out of sight, and the water went over my head.
I am a nun now, I have never been so pure.
I didn’t want any flowers, I only wanted
To lie with my hands turned up and be utterly empty.
How free it is, you have no idea how free—
The peacefulness is so big it dazes you,
And it asks nothing, a name tag, a few trinkets.
It is what the dead close on, finally; I imagine them
Shutting their mouths on it, like a Communion tablet.
The tulips are too red in the first place, they hurt me.
Even through the gift paper I could hear them breathe
Lightly, through their white swaddlings, like an awful baby.
Their redness talks to my wound, it corresponds.
They are subtle: they seem to float, though they weigh me down,
Upsetting me with their sudden tongues and their colour,
A dozen red lead sinkers round my neck.
Nobody watched me before, now I am watched.
The tulips turn to me, and the window behind me
Where once a day the light slowly widens and slowly thins,
And I see myself, flat, ridiculous, a cut-paper shadow
Between the eye of the sun and the eyes of the tulips,
And I have no face, I have wanted to efface myself.
The vivid tulips eat my oxygen.
Before they came the air was calm enough,
Coming and going, breath by breath, without any fuss.
Then the tulips filled it up like a loud noise.
Now the air snags and eddies round them the way a river
Snags and eddies round a sunken rust-red engine.
They concentrate my attention, that was happy
Playing and resting without committing itself.
The walls, also, seem to be warming themselves.
The tulips should be behind bars like dangerous animals;
They are opening like the mouth of some great African cat,
And I am aware of my heart: it opens and closes
Its bowl of red blooms out of sheer love of me.
The water I taste is warm and salt, like the sea,
And comes from a country far away as health.
Sylvia Plath
18 March 1961
da “Ariel”, London, Faber and Faber, 1965
SYLVIA PLATH’S HOLIDAY COOKING TIPS.
RispondiEliminaBY ARABELLA ANDERSON
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[Originally published November 26, 2014.]
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Stuffing
You’ll want to use lots of herbs, herbs from the ground—
The ground, dirt between my fingers.
Dirt—our mortal blanket.
Turkey
Make sure you tender the meat.
Care for it as you would a child.
Sadness tastes bitter on anxious lips.
Desserts
To watch the smiles erupt—
As saccharine doses delight them
Is sweeter than the purest honey
Drinks
Fizzy potions to toast the joyous moments
Or to numb the pain caused by those
Who call themselves “family.”
Leftovers
The cauldron of morning
Replenish your hunger with the effort of meals past
That new taste is cold realization.
“I felt overstuffed and dull and disappointed, the way I always do the day after Christmas, as if whatever it was the pine boughs and the candles and the silver and gilt-ribboned presents and the birch-log fires and the Christmas turkey and the carols at the piano promised never came to pass.”
RispondiElimina--from "The Bell Jar" (1963)
“Eternity bores me,
RispondiEliminaI never wanted it.”
-- from “Years" (1962) by Sylvia Plath
"Then the worst thing happened, that big, dark, hunky boy, the only one there huge enough for me, who had been hunching around over women, and whose name I had asked the minute I had come into the room, but no one told me, came over and was looking hard in my eyes and it was Ted Hughes. . . . And then it came to the fact that I was all there, wasn't I, and I stamped and screamed yes . . . and I was stamping and he was stamping on the floor, and then he kissed me bang smash on the mouth and ripped my hair band off, my lovely red hairband scarf which had weathered the sun and much love, and whose like I shall never again find, and my favorite silver earrings: hah, I shall keep, he barked. And when he kissed my neck I bit him long and hard on the cheek, and when we came out of the room, blood was running down his face."
RispondiElimina-- Sylvia Plath, writing in her journal on this day in 1956, describing her first meeting with Ted Hughes
Source: http://www.todayinliterature.com/
Fever 103°- Sylvia Plath
RispondiEliminaPure? What does it mean?
The tongues of hell
Are dull, dull as the triple
Tongues of dull, fat Cerberus
Who wheezes at the gate. Incapable
Of licking clean
The aguey tendon, the sin, the sin.
The tinder cries.
The indelible smell
Of a snuffed candle!
Love, love, the low smokes roll
From me like Isadora’s scarves, I’m in a fright
One scarf will catch and anchor in the wheel.
Such yellow sullen smokes
Make their own element. They will not rise,
But trundle round the globe
Choking the aged and the meek,
The weak
Hothouse baby in its crib,
The ghastly orchid
Hanging its hanging garden in the air,
Devilish leopard!
Radiation turned it white
And killed it in an hour.
Greasing the bodies of adulterers
Like Hiroshima ash and eating in.
The sin. The sin.
Darling, all night
I have been flickering, off, on, off, on.
The sheets grow heavy as a lecher’s kiss.
Three days. Three nights.
Lemon water, chicken
Water, water make me retch.
I am too pure for you or anyone.
Your body
Hurts me as the world hurts God. I am a lantern——
My head a moon
Of Japanese paper, my gold beaten skin
Infinitely delicate and infinitely expensive.
Does not my heat astound you. And my light.
All by myself I am a huge camellia
Glowing and coming and going, flush on flush.
I think I am going up,
I think I may rise——
The beads of hot metal fly, and I, love, I
Am a pure acetylene
Virgin
Attended by roses,
By kisses, by cherubim,
By whatever these pink things mean.
Not you, nor him
Not him, nor him
(My selves dissolving, old whore petticoats)——
To Paradise.
20 October 1962
da “Ariel”, London, Faber and Faber, 1965
(by tittideluca)
Febbre a 40° – Sylvia Plath
EliminaPura? Che vuol dire?
Le lingue dell’inferno
sono ottuse, ottuse come le tre lingue
dell’ottuso e grasso Cerbero
che ansima all’ingresso. Incapaci
di pulire leccando
il tendine febbrile, il peccato, il peccato.
L’esca da fuoco stride.
L’indelebile odore
di una candela soffocata!
Amore, amore, i bassi fumi si svolgono
da me come le sciarpe di Isadora, ho il terrore
che una s’impigli e resti presa nella ruota.
Fumi così gialli e tetri
creano il proprio elemento. Invece di levarsi
rotolano intorno al globo
soffocando i vecchi e i mansueti,
il gracile
bimbo di serra nella culla,
l’orrida orchidea
che appende il suo giardino pensile nell’aria,
diabolico leopardo!
La radiazione l’ha resa bianca
e in un’ora l’ha uccisa.
Ungono i corpi degli adulteri
come cenere di Hiroshima e li corrodono.
Il peccato. Il peccato.
Tesoro, è tutta la notte
che vacillo, spenta, accesa, spenta, accesa.
Le lenzuola si fanno grevi come il bacio di un vizioso.
Tre giorni. Tre notti.
Acqua e limone, acqua
di pollo, acqua mi fanno vomitare.
Sono troppo pura per te o per chiunque.
Il tuo corpo
mi fa male come il mondo fa male a Dio. Sono una lanterna——
la mia testa una luna
di carta giapponese, la mia pelle oro in foglia
infinitamente delicata e infinitamente costosa.
Non ti sbalordisce il mio calore? E la mia luce.
Tutta sola, sono un’enorme camelia
che arde e viene e va, vampa su vampa.
Sto sollevandomi, credo.
Credo che salirò——
I grani di metallo bollente volano, e io, amore, io
sono una pura
vergine
di acetilene, scortata da rose,
da baci e cherubini,
da tutte queste strane cose rosa.
Non tu, né lui,
non lui, né lui
(i miei io che si dissolvono, vecchie gonnelle di puttana)——
verso il Paradiso.
Sylvia Plath
20 ottobre 1962
(Traduzione di Anna Ravano)
da “Ariel”, in “I capolavori di Sylvia Plath”, Mondadori, Milano, 2004
Electra on Azalea Path - Sylvia Plath
The day you died I went into the dirt,
Into the lightless hibernaculum
Where bees, striped black and gold, sleep out the blizzard
Like hieratic stones, and the ground is hard.
It was good for twenty years, that wintering -
As if you never existed, as if I came
God-fathered into the world from my mother's belly:
Her wide bed wore the stain of divinity.
I had nothing to do with guilt or anything
When I wormed back under my mother's heart.
Small as a doll in my dress of innocence
I lay dreaming your epic, image by image.
Nobody died or withered on that stage.
Everything took place in a durable whiteness.
The day I woke, I woke on Churchyard Hill.
I found your name, I found your bones and all
Enlisted in a cramped stone askew by an iron fence.
In this charity ward, this poorhouse, where the dead
Crowd foot to foot, head to head, no flower
Breaks the soil. This is Azalea path.
A field of burdock opens to the south.
Six feet of yellow gravel cover you.
The artificial red sage does not stir
In the basket of plastic evergreens they put
At the headstone next to yours, nor does it rot,
Although the rains dissolve a bloody dye:
The ersatz petals drip, and they drip red.
Another kind of redness bothers me:
The day your slack sail drank my sister's breath
The flat sea purpled like that evil cloth
My mother unrolled at your last homecoming.
I borrow the silts of an old tragedy.
The truth is, one late October, at my birth-cry
A scorpion stung its head, an ill-starred thing;
My mother dreamed you face down in the sea.
The stony actors poise and pause for breath.
I brought my love to bear, and then you died.
It was the gangrene ate you to the bone
My mother said: you died like any man.
How shall I age into that state of mind?
I am the ghost of an infamous suicide,
My own blue razor rusting at my throat.
O pardon the one who knocks for pardon at
Your gate, father - your hound-bitch, daughter, friend.
It was my love that did us both to death.
Elettra sul Sentiero delle Azalee - Sylvia Plath
EliminaIl giorno in cui sei morto sono entrata nello sporco,
dentro l'ibernacolo privo di luce
dove le api, a strisce nere e dorate, dormono al riparo dalla bufera
come pietre ieratiche, e il pavimento è duro.
È andato bene per vent'anni, quello svernare-
come se tu non fossi mai esistito, come se io fossi venuta al mondo
con Dio come padre dal ventre di mia madre:
il suo ampio letto portava la macchia della divinità.
Non avevo niente a che fare con la colpa o altro
quando sono tornata a insinuarmi nel cuore di mia madre.
Piccola come una bambola nel mio vestito d’innocenza
mi stendo sognando la tua epopea, immagine per immagine.
Nessuno è morto o si è indebolito su quel palco.
Tutto ha avuto luogo in un durevole biancore.
Il giorno in cui mi sono svegliata, mi sono svegliata sulla Collina del Cimitero.
Ho trovato il tuo nome, ho trovato le tue ossa e tutti
gli arruolati in una soffocante necropoli,
la tua pietra punteggiata, deformata da un recinto di ferro.
Nel reparto della carità, quest’ospizio per i poveri, dove i morti
si ammassano piede contro piede, testa contro testa, nessun fiore
penetra il terreno. Questo è il Sentiero delle Azalee.
Un campo di cardi si apre a sud.
Sei piedi di ghiaia gialla ti coprono.
L’artificiale salvia rossa non si muove
nel cestino dei sempreverdi di plastica che posano
sulla lapide accanto alla tua, né marcisce,
sebbene le piogge dissolvano una tinta sanguigna:
i petali del surrogato gocciolano, e gocciolano rosso.
Un altro tipo di rosso mi infastidisce:
il giorno in cui la tua vela negligente ha assorbito il respiro di mia sorella
il mare piatto si è tinto di porpora come quella stoffa maligna
che mia madre ha srotolato al tuo ultimo ritorno a casa.
Ho preso in prestito le stampelle di un’antica tragedia.
La verità è che, un tardo ottobre, al mio vagito,
uno scorpione ha punto la sua testa, una cosa nata sotto una cattiva stella;
mia madre ha sognato che tu fronteggiavi il mare.
Gli attori insensibili osservano la compostezza e le pause per il respiro.
Io ho messo in pratica il mio amore, e poi tu sei morto.
È stata la cancrena a mangiarti fino all’osso
ha detto mia madre, sei morto come qualsiasi altro uomo.
Come potrò invecchiare in questa condizione mentale?
Io sono il fantasma di un suicidio infame,
la mia lametta blu che si arrugginisce nella mia gola.
Oh perdona colei che bussa alla tua porta
implorando perdono, padre - la tua cagna da caccia, figlia, amica.
È stato il mio amore che ci ha portati entrambi alla morte.
Sylvia Plath, da Collected Poems
Traduzione di Bianca Sorrentino
“I can never read all the books I want; I can never be all the people I want and live all the lives I want. I can never train myself in all the skills I want. And why do I want? I want to live and feel all the shades, tones and variations of mental and physical experience possible in my life. And I am horribly limited.”
RispondiElimina― Sylvia Plath, The Unabridged Journals of Sylvia Plath
"The Colossus" by Sylvia Plath
RispondiEliminaI shall never get you put together entirely,
Pieced, glued, and properly jointed.
Mule-bray, pig-grunt and bawdy cackles
Proceed from your great lips.
It's worse than a barnyard.
Perhaps you consider yourself an oracle,
Mouthpiece of the dead, or of some god or other.
Thirty years now I have labored
To dredge the silt from your throat.
I am none the wiser.
Scaling little ladders with glue pots and pails of Lysol
I crawl like an ant in mourning
Over the weedy acres of your brow
To mend the immense skull-plates and clear
The bald, white tumuli of your eyes.
A blue sky out of the Oresteia
Arches above us. O father, all by yourself
You are pithy and historical as the Roman Forum.
I open my lunch on a hill of black cypress.
Your fluted bones and acanthine hair are littered
In their old anarchy to the horizon-line.
It would take more than a lightning-stroke
To create such a ruin.
Nights, I squat in the cornucopia
Of your left ear, out of the wind,
Counting the red stars and those of plum-color.
The sun rises under the pillar of your tongue.
My hours are married to shadow.
No longer do I listen for the scrape of a keel
On the blank stones of the landing.
IL COLOSSO - SYLVIA PLATH
EliminaNon riuscirò mai a ricomporti interamente,
con tutti i pezzi ben congiunti e incollati.
Ragli, grugniti, osceni schiamazzi
escono dalle tue vaste labbra.
Neanche fossimo in un’aia.
Tu forse ti consideri un oracolo,
portavoce dei morti, o di chissà quale dio.
Sono trent’anni ormai che mi affatico
per cavarti la melma dalla gola.
E ne so quanto prima.
Mi arrampico su per la scaletta a pioli con barattoli di colla e di lisolo,
striscio come formica in lutto
sugli acri della tua fronte invasi dalle erbacce
per riparare le immense placche del tuo cranio e ripulire
i bianchi tumuli vuoti dei tuoi occhi.
Un cielo azzurro uscito dall’Orestea
si incurva su di noi. Oh padre mio, tutto solo
sei essenziale e storico come il Foro Romano.
Tiro fuori il mio pranzo su una collina di cipressi neri.
Le tue ossa incise e i capelli d’acanto sono sparsi
fino all’orizzonte nell’antica anarchia.
Ci vorrebbe ben altro che un fulmine
per creare tanta rovina.
Di notte mi accoccolo nella cornucopia
del tuo orecchio sinistro, al riparo dal vento,
e conto le stelle rosse e quelle color prugna.
Il sole sorge da sotto la colonna della tua lingua.
Le mie ore sono sposate all’ombra.
Non tendo più l’orecchio per sentire il raschio di una chiglia
sulle pietre nude dell’approdo.
"So, now I shall talk every night. To myself. To the moon. I shall walk, as I did tonight, jealous of my loneliness, in the blue-silver of the cold moon, shining brilliantly on the drifts of fresh-fallen snow, with the myriad sparkles. I talk to myself and look at the dark trees, blessedly neutral. So much easier than facing people, than having to look happy, invulnerable, clever. With masks down, I walk, talking to the moon, to the neutral impersonal force that does not hear, but merely accepts my being. And does not smite me down."
RispondiEliminaSylvia Plath
(Book: The Journals of Sylvia Plath)
Thanks to Engish Literature