(Le cercle des menteurs - Francia 1998)
Storie, storielle e leggende filosofiche del mondo intero
Questo libro fa di tutto per non attrarre: brutto titolo, pessima copertina. Lo trovi soltanto se ti casca addosso, magari scontato, magari usato: allora te lo pigli come consolazione per non aver trovato altro e a casa lo butti da qualche parte, e te ne scordi. Poi magari succede che una sera non hai nulla da leggere, lo trovi e... magia! Mille e una storia, splendide, divertenti, alcune indimenticabili, nonostante i mille e un errore di tipografia. Leggerlo una volta non basta, perché il piacere della scoperta momentanea spesso supera il ragionamento. Il titolo originale, come sempre, è più indicativo: Il cerchio dei fanfaroni, ossia di quelli che del narrare fole ne hanno fatto un'arte. E' un libro ideale da portarsi in vacanza: le storie durano da cinque righe a cinque pagine. Una la "conto" io, è una storia armena e racconta il viaggio di un uomo d'intelligenza non tanto sveglia.
LA MORTE DI UN CRETINO
Un poveraccio, che lavorava inutilmente, decise di andare a lamentarsi della sua sorte con Dio. Si mise in viaggio e incontrò un lupo, che gli chiese dove andasse.“Vado a lamentarmi con Dio”, disse l’uomo, “Si è mostrato molto ingiusto nei miei confronti”.
“Me lo faresti un favore?”, gli chiese il lupo. “Da mattina a sera, e pure di notte, corro dappertutto per procurarmi da mangiare. Chiedi a Dio: perché hai creato il lupo, se poi lo lasci crepare di fame?” Dopo aver promesso di fare quella domanda, l’uomo si rimise in cammino. Poco dopo incontrò una ragazza carina, che gli chiese quale fosse lo scopo del suo viaggio. Glielo disse.
“Ti prego”, disse lei, “se vedi Dio, parlagli di me. Digli che in questo mondo hai incontrato una ragazza carina, dolce, bella, ricca, in ottima salute e tuttavia infelice. Che devo fare per ottenere la felicità?”.
“Gli farò questa domanda”, disse il povero.
Poco più lontano si fermò ai piedi di un albero, per riposarsi. Benché piantato in una terra buona, questo albero era tutto rinsecchito, quasi privo di foglie. Interrogò l’uomo e gli disse:
“Se vuoi, potresti parlare di me a Dio? Digli che del mio destino non capisco niente. Come vedi, questa terra è fertile, eppure sia d’inverno che d’estate i miei rami sono spogli. Che devo fare per avere, come glia altri alberi, foglie verdi e frutti?”.
L’uomo promise all’albero che avrebbe parlato a Dio. E seguitò il suo viaggio. Dopo un lungo cammino e peripezie rimaste ignote, giunse davanti a Dio, lo salutò e gli presentò la sua supplica.
“Tratti tutti gli uomini alla stessa stregua”, gli disse. “Ma guarda me: lavoro giorno e notte con tutte le mie forze, mi privo di tutto e conduco una vita disgraziata. Conosco gente che lavora molto meno di me e fa una vita piacevole. Sai dirmi dov’è l’uguaglianza, dove la giustizia?”:
“Ti offro un’occasione”, gli rispose Dio. “Sappila cogliere, e diventerai ricco e felice. Va', torna a casa!”.
Prima di congedarsi, l’uomo espose il caso del lupo, della ragazza e del misero albero. Dio gli diede le risposte necessarie e l’uomo ripartì.
Sulla strada del ritorno, incontrò l’albero e gli disse: “Dio mi ha rivelato che un gran mucchio d’oro è nascosto sotto le tue radici. Ecco perché non puoi crescere. Una volta portato via l’oro, ti verranno i rami verdi”.
“Splendido!”, esclamò l’albero. “Presto! Scava fra le radici e prenditi l’oro!”.
“No, no, non posso. Dio mi ha offerto una possibilità. Devo tornare a casa e approfittarne!”.
L’uomo riprese il cammino. Incontrò la ragazza insoddisfatta che gli chiese: “Allora, che ti ha detto Dio?”.
“Mi ha detto che per conoscere la felicità, devi incontrare uno che ti sposi per condividere gioie e dolori con te”.“Sposami!”, gli disse la ragazza. “Sposa me e così saremo felici insieme!”.
“Non posso, non ho tempo! Dio mi ha dato una possibilità e devo tornare a casa per approfittarne! Addio! Cercati un altro sposo!”.
E se ne andò. Un po’ più lontano, incontrò il lupo affamato che gli chiese: “Allora, hai parlato di me a Dio?”.
“Lascia innanzitutto che ti dica cosa mi è accaduto”, rispose l’uomo. “Ho incontrato una ragazza infelice e le ho dato la risposta di Dio: deve trovarsi un marito. Ho incontrato un albero spoglio, al quale Dio manda a dire: un mucchio d’oro blocca le tue radici. La ragazza voleva sposarmi, l’albero voleva farmi scavare perché portassi via l’oro ma io, sia ben chiaro, ho detto no! Dio mi ha offerto una possibilità, così ha detto, e adesso devo tornare a casa per approfittarne!”.
“E io?”, chiese il lupo. “Dio non ti ha dato la soluzione per il mio problema? Rispondimi prima di andartene!”.
“Si”, disse l’uomo. “Ecco cosa ha risposto Dio: il lupo andrà vagando sulla terra fino a quando non incontrerà un cretino che potrà placargli la fame”.
“E dove vuoi che lo trovi uno più cretino di te?”.
“Me lo faresti un favore?”, gli chiese il lupo. “Da mattina a sera, e pure di notte, corro dappertutto per procurarmi da mangiare. Chiedi a Dio: perché hai creato il lupo, se poi lo lasci crepare di fame?” Dopo aver promesso di fare quella domanda, l’uomo si rimise in cammino. Poco dopo incontrò una ragazza carina, che gli chiese quale fosse lo scopo del suo viaggio. Glielo disse.
“Ti prego”, disse lei, “se vedi Dio, parlagli di me. Digli che in questo mondo hai incontrato una ragazza carina, dolce, bella, ricca, in ottima salute e tuttavia infelice. Che devo fare per ottenere la felicità?”.
“Gli farò questa domanda”, disse il povero.
Poco più lontano si fermò ai piedi di un albero, per riposarsi. Benché piantato in una terra buona, questo albero era tutto rinsecchito, quasi privo di foglie. Interrogò l’uomo e gli disse:
“Se vuoi, potresti parlare di me a Dio? Digli che del mio destino non capisco niente. Come vedi, questa terra è fertile, eppure sia d’inverno che d’estate i miei rami sono spogli. Che devo fare per avere, come glia altri alberi, foglie verdi e frutti?”.
L’uomo promise all’albero che avrebbe parlato a Dio. E seguitò il suo viaggio. Dopo un lungo cammino e peripezie rimaste ignote, giunse davanti a Dio, lo salutò e gli presentò la sua supplica.
“Tratti tutti gli uomini alla stessa stregua”, gli disse. “Ma guarda me: lavoro giorno e notte con tutte le mie forze, mi privo di tutto e conduco una vita disgraziata. Conosco gente che lavora molto meno di me e fa una vita piacevole. Sai dirmi dov’è l’uguaglianza, dove la giustizia?”:
“Ti offro un’occasione”, gli rispose Dio. “Sappila cogliere, e diventerai ricco e felice. Va', torna a casa!”.
Prima di congedarsi, l’uomo espose il caso del lupo, della ragazza e del misero albero. Dio gli diede le risposte necessarie e l’uomo ripartì.
Sulla strada del ritorno, incontrò l’albero e gli disse: “Dio mi ha rivelato che un gran mucchio d’oro è nascosto sotto le tue radici. Ecco perché non puoi crescere. Una volta portato via l’oro, ti verranno i rami verdi”.
“Splendido!”, esclamò l’albero. “Presto! Scava fra le radici e prenditi l’oro!”.
“No, no, non posso. Dio mi ha offerto una possibilità. Devo tornare a casa e approfittarne!”.
L’uomo riprese il cammino. Incontrò la ragazza insoddisfatta che gli chiese: “Allora, che ti ha detto Dio?”.
“Mi ha detto che per conoscere la felicità, devi incontrare uno che ti sposi per condividere gioie e dolori con te”.“Sposami!”, gli disse la ragazza. “Sposa me e così saremo felici insieme!”.
“Non posso, non ho tempo! Dio mi ha dato una possibilità e devo tornare a casa per approfittarne! Addio! Cercati un altro sposo!”.
E se ne andò. Un po’ più lontano, incontrò il lupo affamato che gli chiese: “Allora, hai parlato di me a Dio?”.
“Lascia innanzitutto che ti dica cosa mi è accaduto”, rispose l’uomo. “Ho incontrato una ragazza infelice e le ho dato la risposta di Dio: deve trovarsi un marito. Ho incontrato un albero spoglio, al quale Dio manda a dire: un mucchio d’oro blocca le tue radici. La ragazza voleva sposarmi, l’albero voleva farmi scavare perché portassi via l’oro ma io, sia ben chiaro, ho detto no! Dio mi ha offerto una possibilità, così ha detto, e adesso devo tornare a casa per approfittarne!”.
“E io?”, chiese il lupo. “Dio non ti ha dato la soluzione per il mio problema? Rispondimi prima di andartene!”.
“Si”, disse l’uomo. “Ecco cosa ha risposto Dio: il lupo andrà vagando sulla terra fino a quando non incontrerà un cretino che potrà placargli la fame”.
“E dove vuoi che lo trovi uno più cretino di te?”.
Si avventò sull'uomo e lo divorò.
Dalla 4a di copertina:
RispondiEliminaNel corso dei suoi viaggi in tutti i continenti, scegliendo il meglio delle sue sterminate letture, attingendo alle tradizioni dei popoli del mondo intero, Jean-Claude Carrière ha collezionato un'incredibile quantità di storie. Le più belle ed affascinanti sono raccolte in questo "Circolo dei Contastorie: storielle ebraiche ed enigmi zen, illuminazioni sufi e apologhi indiani, leggende africane e fiabe irlandesi... A volte divertenti, a volte sono serissime, in genere sono l'una e l'altra cosa insieme. Spesso sono ambigue e inquietanti. Anche perché ci assomigliano e rendono omaggio a una delle più antiche e importanti attività umane: raccontare, per capire se stessi e il mondo. Raccogliendo e ordinando queste storie preziose, Carrière ha compilato un vero e proprio manuale di filosofia in forma narrativa: un cammino verso la saggezza sorprendente e piacevole. perché queste storie che hanno attraversato il tempo per giungere fino a noi si occupano delle grandi domande che da sempre impegnano l'uomo: raccontano la vita e la morte, la giustizia e la logica, la follia e il sogno, il riso e il potere... E alla fine ci trasmettono la verità più segreta: quella che conoscono solo i grandi bugiardi.
Molto gustosa la storiella del cretino. Non conosco questo libro, ma ritengo importante non abbandonare questo genere di tradizione popolare, intriso di quelle forme di insegnamento grazie alle quali la cultura si è diffusa anche nelle campagne, sulle montagne e nelle lande deserte. Preziose le informazioni affidate alle voci narranti di nonni, vicini e di quei curiosi personaggi itineranti che un tempo andavano in cerca di un pasto, regalando in cambio racconti appassionanti, sempre diversi e spesso inventati, o dilatati.
RispondiEliminaL'altro mondo, che a volte si infila come per caso in questo mondo, non è sempre del tutto convincente. Come dimostra questo racconto ebraico dei nostri giorni.
RispondiEliminaSCARSA FIDUCIA
Un ebreo ha fatto fortuna. Per la prima volta in vita sua decide di andare a sciare e di pagarsi una settimana bianca.
Inesperto, maldestro, esce di pista e cade in un burrone. Per miracolo, all'ultimo istante si aggrappa a un esile arbusto che spunta tra le rocce. Sotto c'è il vuoto e la morte. Avvinghiate all'arbusto, le mani stanno per lasciare la presa. Scricchiola, infatti, l'arbusto, mentre le radici si strappano. Sopraffatto dall'angoscia, l'ebreo alza gli occhi al cielo e grida:
"C'è qualcuno? C'è qualcuno?"
"Sono qui, figlio mio", risponde una voce solenne. "Non avere alcun timore. Ti prenderanno i miei angeli. che ti deporranno a terra piano piano".
L'ebreo rimane un attimo perplesso prima di mettersi a gridare:
"Non c'è qualcun altro?"
Nel folklore mediorientale si incontra un personaggio insopportabile e delizioso, generalmente chiamato Nasreddin Hodja. Le sue storie (innumerevoli) sono raccontate dappertutto, dalla Turchia alla Persia, dalla Siria all'Egitto, dove viene chiamato Goha. Le stesse storie le ritroviamo nella tradizione popolare ebraica, dove il personaggio si chiama Ch'ha, e in Africa del Nord, dov'è più noto col nome di Djeha. Se ne trovano tracce fino in Polonia, dove prende il nome di Srulek.
RispondiEliminaEcco una storia sull'ordine apparente del mondo. Vi presento Nasreddin Hodja.
COME OTTENERE LA PIOGGIA
In Persia si racconta che un giorno, in un periodo di ostinata siccità, una delegazione si recò da Nasreddin per chiedergli se conoscesse un modo per far piovere.
"Ma certo", rispose lui. "Ne conosco uno".
"Presto. Dicci cosa bisogna fare".
Nasreddin chiese che gli fosse portata una bacinella piena d'acqua, cosa che fu fatta non senza grande difficoltà. Arrivata la bacinella, egli si tolse la veste e, tra lo stupore generale, si mise a lavarla.
"Ma come!", esclamarono i presenti. "Abbiamo raccolto tutta l'acqua che ci restava e tu te ne servi per lavarti la veste!".
"Non arrabbiatevi", rispose Nasreddin, "so benissimo quel che sto facendo".
Nonostante insulti e minacce, se la prese calma. Lavò accuratamente la veste e poi disse:
"Adesso mi occorre una seconda bacinella d'acqua".
Gli uomini della delegazione si misero ad urlare ancora di più. Dove trovare un'altra bacinella d'acqua? E per farne cosa, poi? Era forse diventato pazzo?
Nasreddin, senza perdere la calma, diceva ostinato:
"So benissimo quel quel che sto facendo".
Si cercò dappertutto, fu torchiata l'argilla dei pozzi, fu rubata perfino l'acqua destinata ai bambini, e così gli fu portata la seconda bacinella.
Nasreddin vi immerse la veste e la sciacquò accuratamente.
Gli altri lo guardavano inebetiti. Non avevano più nemmeno la forza di gridare. Chiese loro infine di aiutarlo a strizzare la veste, che portò poi nel suo cortiletto per appenderla ad un filo, ad asciugare.
Quasi immediatamente si formarono grossi nuvoloni e la pioggia cadde copiosa.
"Ecco", disse tutto calmo Nasreddin. "Succede sempre così, quando metto a stendere la biancheria".
Questi racconti sono veramente belli, complimenti è un genere insolito ma molto godibile.
RispondiEliminaNon ho mai visto questo libro ed è la prima volta che ne sento parlare. Mi ricorda un po' i libri di lettura delle elementari di quarta e quinta, quando comparivano piacevoli storie, anche educative; ma non è una critica, anzi! Spesso le storie raggiungono prima lo scopo di arrivare dritti al cuore e alla mente, inoltre a chiunque piace ascoltarle, forse perché riportano ad un'atmosfera incantata e infantile? Questo è l'autentico piacere che ho provato leggendo i brevi racconti che hai proposto, con la preghiera di aggiungerne altri!
RispondiEliminaUn altro racconto, molto celebre e spesso ripetuto, viene dal Giappone, dal buddismo zen.
RispondiEliminaCHI E'?
Un discepolo, che voleva vedere il maestro e parlargli, andò a bussare alla sua porta.
"Chi è?", chiese il maestro.
"Rinzo".
"Vattene!", urlò il maestro. E all'ordine accompagnò un insulto.
Rinzo andò via senza capire, ritornò qualche ora dopo e bussò di nuovo alla porta, ma più timidamente.
"Chi è?", chiese il maestro.
"Rinzo.....".
"Vattene!". E piovvero molti insulti sprezzanti.
Rinzo andò via, molto rattristato e sconcertato. Passò tutta la notte a soffrire e a riflettere. Il giorno dopo, con gli occhi gonfi e il cuore incerto, andò per la terza volta a bussare alla porta del maestro, che chiese:
"Chi è?".
"Nessuno...", rispose con un fil di voce il discepolo.
"Ah, Rinzo!", disse allora il maestro. "Spingi la porta, entra!".
Molti racconti parlano dei sogni, e lo specchio è sovente l'accessorio del sogno.
RispondiEliminaLO SPECCHIO CINESE
Un contadino cinese andò in città per vendere il riso. La moglie gli aveva detto:
"Per favore, portami un pettine".
In città, venduto il riso e dopo aver bevuto con i compagni, si ricordò della moglie solo al momento della partenza. Gli aveva chiesto qualcosa, ma cosa? Non riusciva a ricordarsene. Comprò uno specchio in un negozio di articoli per donna e ritornò al villaggio.
Diede lo specchio alla moglie e uscì per tornare al lavoro nei campi. La moglie si guardò nello specchio e si mise a piangere. Sua madre, vedendola piangere, le chiese la ragione di quelle lacrime.
La moglie le porse lo specchio dicendo:
"Mio marito mi ha portato a casa signora Seconda".
A sua volta, la madre prese lo specchio, lo guardò e disse alla figlia:
"Non hai motivo di inquietarti. E' una vecchia."
Racconti veramente belli e significativi. Questo però nn l'ho capito!
EliminaNon avendo mai visto uno specchio, sia la moglie che la suocera ignorano il proprio aspetto. Quando vi si guardano vedono una faccia sconosciuta: la prima teme che il marito abbia portato a casa una seconda moglie, la seconda la tranquillizza.
EliminaLa persistenza dell'io (anche illusoria) non può essere espressa con suggestione più intensa di questa storia africana, che dedico a Enrica.
RispondiEliminaIL CANTO DEL BOA
Nella notte dei tempi c'era un vecchissimo boa che cantava nella foresta.. Gli spuntava l'erba sul dorso e gli uccelli vi facevano il nido. Ininterrottamente la sua voce familiare cullava la vita di ogni cosa. Anche il vento lo rispettava. Gli insetti percorrevano il suo corpo. Alla voce del boa si attribuivano nascite e guarigioni.
Due cacciatori stranieri entrarono nella foresta annunciando che avevano intenzione di uccidere il boa. Non ne davano una spiegazione, dato che quel boa a loro non aveva fatto niente, ma la sua sola presenza, dicevano, costituiva una specie di affronto al coraggio degli uomini. "L'uomo deve cacciare e uccidere", dicevano i cacciatori. "E' nato per questo. E deve uccidere soprattutto ciò che non sembra esser nato per esser ucciso., ciò che non può essere ucciso."
Gli abitanti della foresta, estranei a questa logica, cercarono di salvare il boa, che da tanto tempo faceva parte della loro esistenza. Ma ucciderlo era un vero punto d'onore per i due cacciatori stranieri. Affermavano addirittura che il suo canto fosse solo un'intollerabile provocazione. Perciò si inoltrarono armati nella foresta. Incontrarono il boa, che li fissò e cominciò a cantare con voce dolce. Il suo canto diceva: "Non uccidere il serpente. Se mi uccidi sarò sempre con te. Perché la terra è il mio cuscino e le stelle sono i miei piccoli nati."
I cacciatori uccisero il boa, come avevano promesso. A quel crimine, la foresta, si dice, tremò di emozione, il vento fuggì ululando, le acque cessarono di scorrere. I cacciatori si chinarono per scuoiare il serpente e il corpo dell'animale morto riprese allora a cantare. Il canto era sempre lo stesso: "Non uccidere il serpente. Se mi uccidi sarò sempre con te. Perché la terra è il mio cuscino e le stelle sono i miei piccoli nati."
Incuranti della voce, i cacciatori scuoiarono il corpo del serpente, tagliarono a pezzi la carne e la misero a essiccare per poterla vendere al mercato. Durante il periodo dell'essiccazione, non una mosca si avvicinò alla carne, nessun uccello apparve in cielo.
Su un banco al mercato, i due cacciatori disposero la carne del serpente e aspettarono. Ma appena si presentava un cliente, i pezzi di carne essiccata si mettevano a cantare la canzone del vecchio boa. Subito i clienti scappavano via presi dal panico, tanto che i due cacciatori, che sembravano non avere paura di niente, decisero di mangiare loro il serpente.
Fecero cuocere la carne - con difficoltà, dato che l'acqua si rifiutava di bollire e il vento di soffiare sul fuoco - e invitarono degli amici. Ma appena gli amici stesero la mano per prendere il piatto, i pezzi di carne cotta cominciarono a cantare la canzone del vecchio boa, sempre la stessa: "La terra è il mio cuscino, e le stelle sono i miei piccoli nati. Non mangiarmi".
Gli invitati, ovviamente, scapparono a gambe levate e perciò ai due cacciatori non restò che mangiarsi il serpente. Dopo di che ruttarono abbondantemente e si addormentarono in una lunga siesta. Al risveglio, ebbero violenti mal di pancia e gli occhi non distinguevano più niente tutt'intorno. Diventarono ciechi per il resto della loro vita. Spesso li si vedeva seduti per strada, la mano tesa verso i passanti. Tutti e due cantavano a bassa voce la canzone quasi irriconoscibile del vecchio serpente.
Questi racconti sono veramente belli e non mi illudo di considerarli solo favole. Trovo qualcosa di magico e di prezioso tra le righe, un qualcosa che trascende le parole scritte per annidarsi invece in millenni di parole tramandate a voce. La vera sapienza, la vera scuola, la vita tutta.
RispondiEliminaVorrei una dedica anch'io, e forse dopo vado a cercare questo trattato gilosofico mascherato da antologia di favole....
RispondiEliminaFilosofico dicevo, e solo il motto mi disturba!
EliminaEccomi, Alud, amante della musica italiana e non della filosofia. Ti dedico questa celeberrima storia di origine persiana, come la racconta Fariduddin Attar.
RispondiEliminaSTASERA A SAMARCANDA
Una mattina, al califfo di una grande città si presentò il gran visir in preda a viva agitazione. Il califfo chiese quale era il motivo di quella palese inquietudine e il visir gli rispose:
"Concedimi, ti prego, di lasciare oggi stesso la città".
"Perché?"
"Stamani, attraversando la piazza per venire a palazzo, mi sono sentito urtare la spalla. Mi giro e vedo la morte che mi guarda fisso".
"La morte?"
"Sì, la morte. L'ho proprio riconosciuta, drappeggiata di nero e con una sciarpa rossa. Era lì, e mi guardava per farmi paura. Mi sta cercando, ne sono sicuro. Permettimi di lasciare la città immediatamente. Prenderò il cavallo più veloce e stasera posso essere a Samarcanda".
"Era davvero la Morte? Ne sei sicuro?"
"Perfettamente sicuro. L'ho vista come vedo te. Sono sicuro che tu sei tu e lei era lei. Lasciami andare, ti supplico".
Il califfo, che al suo visir era affezionato, lo lasciò partire. L'uomo, tornato a casa, sellò il cavallo migliore e al galoppo varcò una porta della città, diretto a Samarcanda.
Poco dopo il califfo, tormentato da un pensiero, decise di travestirsi, come a volte faceva, e di uscire dal palazzo. Si recò tutto solo nella grande piazza in mezzo ai rumori del mercato e con gli occhi cercò la morte. La vide, la riconobbe. Il visir non si era affatto sbagliato. Si trattava proprio della morte, alta e magra, vestita di nero, il viso seminascosto da una sciarpa di cotone rosso. Si spostava da un gruppo all'altro nel mercato, senza che nessuno la notasse, sfiorando con le dita la spalla di un uomo che stava sistemando il suo banco, toccando il braccio di una donna che trasportava menta, evitando un bambino che le correva incontro.
Il califfo si diresse incontro alla morte. Questa lo riconobbe immediatamente, nonostante il travestimento, e si inchinò in segno di rispetto.
"Ho una domanda da farti", le disse il califfo a bassa voce.
"Ti ascolto".
"Il gran visir è ancora giovane, in ottima salute, efficiente e probabilmente onesto. Perché stamattina, mentre veniva a palazzo, l'hai urtato spaventandolo? Perché l'hai guardato con aria di minaccia?"
La morte sembrò leggermente sorpresa e rispose al califfo:
"Non volevo spaventarlo. Non l'ho guardato con aria di minaccia. Semplicemente, quando per caso ci siamo urtati nella folla e l'ho riconosciuto, non ho potuto nascondere il mio stupore. E lui l'ha scambiato per minaccia".
"Perché il tuo stupore?"
"Perché", rispose la morte, "non mi aspettavo di vederlo qui. Con lui ho appuntamento stasera a Samarcanda".
È la stessa storia cantata da roberto Vecchioni!
EliminaAmati seguaci, una precisazione: le dediche sono una peculiarità nascente da questo genere di libro: non tanto per il contenuto quanto per la morale che si evince. Alud ama Vecchioni, ed Enrica gli animali.... e Mikhail B. le pagine. Questa è per te, vecchio e astioso amico.
RispondiEliminaDi origine bambara, questa storia africana potrebbe forse chiamarsi "la seconda lezione".
L'ORDINE DELLE PAGINE
Un Peul e un Bambara, che dividevano la stessa cella in prigione, seppero dal guardiano che, per ordine del re, uno sarebbe stato castrato e l'altro avrebbe avuto la testa mozzata.
Il Peul, più furbo del Bambara, si mise subito a lamentarsi ad alta voce che gli facevano male i testicoli, molto male, e che chiedeva un rimedio. Accorse il guardiamo armato di un'affilata sciabola e lo liberò dei due oggetti della sua sofferenza. Per tutta la notte il Peul soffrì atrocemente, ma in fondo in fondo si rallegrava di essersi salvata la testa.
Accanto a lui dormiva profondamente il Bambara.
Al mattino il re li fece chiamare e annunciò loro che erano liberi. La pena gli veniva condonata.
Il Peul si lanciò in una serie di imprecazioni e lamenti: il Bambara ha salva la testa - diceva - e io invece ho perso i testicoli!
"Non bisogna mai leggere pagina 5 prima di pagina 4", gli disse il re.
mi sto divertendo un sacco, continua per favore! Non so se mi sto sentendo piccolo o grande
RispondiEliminaContinuo con una storia ebraica classica, soggetta a mille varianti, che racconta di un equivoco.
RispondiEliminaSCAMBIO DI PERSONA
Un piccolo commerciante ebreo, di nome Simone. come suo unico scopo aveva la ricchezza. Risparmiava soldo su soldo; con perseveranza straordinaria lesinava sulla casa, sui vestiti, sul cibo. Tutto gli sembrava troppo bello, troppo caro. Gli sembrava superfluo anche l'indispensabile. Conduceva una vita miserabile.
Dopo una trentina di anni di questa vita - i fatti si svolgono alla fine dell'ottocento - Simone, come aveva previsto, si ritrovò ricco. Un bel giorno la sua vita cambiò: smise di lavorare, andò dal barbiere e dal manicure, si comprò vestiti lussuosissimi dai migliori sarti parigini e se ne andò sulla Costa Azzurra.
A Nizza, il primo giorno, uscendo da un famoso hotel con scarpe impeccabili, pantaloni attillati e giacca nuova del miglior tweed scozzese, con cravatta, cilindro e bastone da passeggio, mentre si avviava sulla Promenade des Anglais, fu violentemente investito da una carrozza.
L'urto fu micidiale. Simone giaceva sulla carreggiata, respirando appena, tutto contorto. Curiosi compassionevoli stavano attorno all'agonizzante.
Allora, segnato dal dolore, con gli occhi gonfi di lacrime amare, Simone levò l'ultimo sguardo al cielo ed esclamò:
"Perché... Perché proprio oggi mi hai colpito a morte?"
Allora, tra il grande stupore degli astanti curiosi, si spalancarono le nubi e si udì la voce di Dio che così rispondeva:
"Simone, a essere sinceri, non ti avevo riconosciuto".
LA VETRINA
RispondiEliminaUn uomo, passeggiando nel quartiere ebraico di una città, vede una vetrina piena di sveglie, orologi da muro, orologi da polso, pendole. Avendo bisogno di una riparazione al suo orologio da polso, entra e si trova di fronte il negoziante a cui fa presente la sua necessità.
"Sono desolato", gli dice il negoziante, "ma non posso fare niente per lei".
"E perché?"
"Perché non sono un orologiaio".
"Lei non è un orologiaio?"
"No. Sono un rabbino specializzato in circoncisioni. Sono un circoncisore".
"Ma allora", dice l'uomo, " se lei non è un orologiaio, perché mette in vetrina tutti quegli orologi e pendole?"
"Già", dice il rabbino, "lei cosa vuole che ci metta?"
IL GRANDE ARCIERE
RispondiEliminaL'imperatore del Giappone visita le sue provincie. Appena arrivato in una città, nota un bersaglio perfettamente centrato da una freccia. Nel corso della visita, poco oltre, nota un altro bersaglio colpito da una freccia. Anche questa freccia è piantata proprio al centro del bersaglio. E così di seguito. Alla vista del quarto bersaglio perfettamente centrato, l'imperatore chiede di incontrare lo straordinario arciere.
"Oh no", gli dice un notabile della città, "non ne vale la pena, è un idiota".
"Un idiota? Ma come può un idiota tirare con un'abilità quasi divina?"
"Semplice. Conficca prima la freccia. Dopodiché, tutt'intorno, disegna il bersaglio".
Gli enigmi ricorrono regolarmente un po' ovunque. Lo testimonia questo racconto arabo:
RispondiEliminaLA DIVISIONE DEI CAMMELLI
Un uomo voleva essere sicuro che dopo la sua morte i figli sarebbero riusciti a trovare un buon consigliere. Perciò nel testamento lasciò loro 17 cammelli con queste precise istruzioni:
"Voglio che il maggiore abbia la metà dei cammelli, il secondo un terzo dei cammelli, e il più giovane la nona parte".
Alla lettura del testamento, i figli restarono perplessi. Chiesero consigli agli amici, che suggerirono di vendere i cammelli e di dividersi la somma secondo le proporzioni indicate. Altri sostenevano che il testamento fosse inattuabile e quindi nullo.
Alla fine trovarono un uomo giudizioso che fece questa proposta:
"La cosa è molto semplice. Io vi presterò un cammello. Lo aggiungerete agli altri 17. Al maggiore darete la metà dei 18 cammelli, cioè 9 cammelli. Al secondo darete 1/3, cioè 6 cammelli. Il più giovane ne avrà 1/9, cioè 2 cammelli. Il totale fa 17. A questo punto io mi riprenderò il mio cammello, e la faccenda è bell'e finita".
Fantastici racconti complimenti per averli condivisi, spesso alle risposte semplici noi non ci arriviamo neppure
RispondiEliminama che belle storielle
RispondiEliminaSono belle tutte, ma tu dove ti identificheresti, padrona di casa
RispondiEliminaSicuramente con Rinzo, per essere poi mangiata dal lupo come tutti i citrulli.
EliminaUna storia narrata dai Malinka.
RispondiEliminaUN COCCODRILLO
Un cacciatore incontra un coccodrillo smarritosi su un altopiano, taglia dei rami di albero per fare una barella e riporta il coccodrillo al fiume. L'animale lo prega di entrare un po' di più in acqua e lo acchiappa per le gambe.
"Non mi uccidere!", grida l'uomo. "Aspetta un attimo!"
L'uomo chiama una vacca e le chiede di fare da giudice. Ma la vacca, un tempo ben nutrita a crusca e sale tanto da poter figliare, adesso è sterile e abbandonata. Il suo padrone le dà solo un po' di paglia secca da mangiare. Perciò rifiuta la richiesta d'aiuto.
"Sì, il coccodrillo ha ragione", dice. "L'uomo è ingrato". E se ne va.
Arriva un vecchio cavallo. Anche lui, un tempo, quando era in piena forma, mangiava soltanto miglio dalle mani del re. Oggi invece, vecchio, debole e inutile, riceve di tanto in tanto solo un po' di erba secca. Rifiuta a sua volta di venire in soccorso dell'uomo prigioniero nelle ganasce del sauro.
"Il coccodrillo ha ragione", dice. "L'uomo è ingrato". E se ne va.
Il cacciatore in pericolo dice al coccodrillo:
"Abbi pazienza! Aspetta ancora un po', ti prego!"
Arriva una lepre, a cui il cacciatore racconta la sua brutta avventura.
"Non vi sento" dice la lepre. "Siete troppo lontani. Venite a riva e spiegatemi".
Il coccodrillo si accosta a riva e l'uomo spiega quanto è successo. Chiede giustizia alla lepre.
"Qui non posso assolutamente giudicare", dice la lepre. "Dobbiamo andare tutti e tre nel posto dove sono accaduti i fatti".
"Ma quest'uomo è ormai preda mia!", dice il coccodrillo. Una nostra vecchia legge dice: Afferra tutto ciò che fugge, prendi ciò che è a portata di mano!"
"Questa legge la conosco", dice la lepre, "ma se volete che io faccia giustizia dobbiamo proprio andare sul posto dove vi siete incontrati".
Si mettono in viaggio. Siccome il coccodrillo fa fatica a camminare sulla terraferma, la lepre chiede all'uomo di rimetterlo sulla barella, di legarvelo ben stretto affinché non caschi, e di portarlo sulla testa. Tutti e tre se ne vanno quindi per la campagna. Strada facendo, la lepre chiede all'uomo:
"Allora dimmi, tuo padre non mangia coccodrillo?"
"Sì, ne mangia".
"E tua madre? Non le piace il coccodrillo?"
"Sì, ne mangia".
"E allora, hai carne di coccodrillo a portata di mano, anzi fra le tue mani, sulla tua testa. Cosa aspetti?"
Il cacciatore uccide il coccodrillo, lo fa a pezzi e ringrazia la lepre. Poi fa ritorno al villaggio, portando la carne sulla testa. La lepre lo accompagna. Quando sono vicini al villaggio, il cacciatore dice alla lepre:
"Nasconditi qui e aspettami. Ritornerò per portarti la tua parte".
La lepre si nasconde. Il cacciatore arriva al villaggio, depone il suo carico e chiama il cane, che accorre. Il cacciatore gli indica il posto dov'è nascosta la lepre.
"Lì c'è una lepre. Acchiappala! Va', presto!"
Per sua fortuna la lepre è diffidente per paura. Ha immaginato che il cacciatore avrebbe mandato il suo cane. Quando lo sente abbaiare da lontano, velocissima si dilegua nella foresta dicendo:
"L'uomo è ingrato".
La seguente storia veniva raccontata in Germania, intorno agli anni Sessanta, negli ambienti della magistratura, anche se certamente ha origine più antica.
RispondiEliminaIL GIUDICE E LE PATATE
Un giudice decise di trascorrere una vacanza presso un suo cugino contadino. Il terzo giorno, colto da un inizio di noia e vedendo suo cugino occupatissimo, si offrì di aiutarlo.
"Che sai fare?", gli chiese il contadino.
Il giudice rifletté un istante, ma non seppe dare alcuna risposta soddisfacente. Il contadino ci pensò un attimo pure lui e gli trovò un lavoro facile. Portò il giudice in un granaio il cui pavimento era ricoperto interamente di patate appena colte.
"Ecco cosa puoi fare", disse il contadino. "Distribuisci le patate in tre mucchi: le grosse, le piccole e le medie. A stasera".
Il contadino se ne andò e lavorò tutto il giorno nei campi. Al ritorno, quasi al calar della notte, aprì la porta del granaio e vide con sorpresa che le patate erano esattamente nello stato in cui le aveva lasciate la mattina.
Il giudice, al centro del granaio, con un'espressione abbattuta, il volto coperto di sudore, i capelli arruffati, stringeva in mano una patata.
"Che cosa è successo?", chiese il contadino.
Il giudice gli porse la patata, e con la voce rotta gli chiese:
"E' grossa, piccola o media?"
Alcuni giorni fa, avendo scoperto le prime storie, ne ho prese in prestito due, Samarcanda-lo specchio, e le proposte come discussione ad altri. Il risultato? Ognuno le interpreta come gli pare, e difatti il significato varia a seconda delle immedesimazioni. Tant'è che me lo compro, questo libro apparentemente semplice. Sembrano barzellette e invece queste storie sfidano l'intelligenza che supponiamo di avere. Brava, complimenti!
RispondiEliminaCome sono belle queste storie, profonde e significative. Spero di ricordarmene almeno due o tre per raccontarle ai miei amici, e fare il test sui cammelli al mio amico ingegnere che sa tutto ahah!
RispondiEliminaMi sono divertita un sacco, e mi complimento con te per le dediche.... chissà. A saperci fare, ognuna di queste storie meriterebbe un quadro: non di quelli dolciastri e visionari, intendo qualcosa di bello. Ad esempio Henri Rousseau per l'assassinio del boa!
RispondiEliminaE Magritte per la storia dello specchio! Invece spererei in un Kandinskij per la vetrina ehm
RispondiEliminaBeh... allora io vedo bene Gauguin dipingere 'come ottenere la pioggia
RispondiEliminaCiao Rosarita,
RispondiEliminaavrei bisogno del tuo aiuto per recuperare con urgenza una delle fiabe contenute in questo volume di Carriere, che non trovo in biblioteca. È "La domanda senza risposta", credo a p. 327....
Chissà se puoi aiutarmi!
Dammi un attimo e te la copio!
EliminaLA DOMANDA SENZA RISPOSTA
RispondiEliminaUn racconto popolare greco narra la storia di un pastore-sfinge.
Tutti i principi della terra desideravano una principessa stupendamente bella di corpo e di mente. Ma il diavolo le entrò nella testa e le fece decidere di prendere come sposo l'uomo che le avrebbe fatto la domanda a cui lei non avrebbe saputo rispondere.
Perciò si gettò ai piedi del padre e in lacrime gli disse:
"Sposerò l'uomo che mi rivolgerà la domanda a cui non saprò rispondere. Agli altri, padre mio, sia tagliata la testa".
Il re, a malincuore, accettò e mandò dei banditori nei quattro angoli del regno. Pazzi d'amore, alcuni principi tentarono l'impossibile avventura. Ma la principessa era così dotta, erudita e astuta che le teste di quei principi finirono tutte nel pozzo del re.
La principessa restava sola e vergine.
Un pastore, che viveva solo sulle montagne, sentì parlare di questo massacro. Si fece raccontare la storia della principessa e poi pensò: "La mia vita è povera e triste. Perché ostinarmi a vivere in questo modo? Se ho una possibilità di conquistare la principessa, perché non rischiarla?".
La sera stessa andò da sua madre e le disse qual era la sua intenzione. Spaventata, la madre gli consigliò di starsene sulla montagna con le sue pecore. Ma non riuscì a persuadere il figlio. Allora, prima che lui se ne andasse, gli fece un dolce in cui mise una grossa dose di veleno da far morire un cammello.
E poi gli disse:
"Prima di assaggiare questo dolce, danne un pezzetto alla tua cagna. Se vedi che le succede qualcosa, non continuare, ritorna qui, perché quello sarà un brutto presagio".
Il pastore si mise in viaggio con mantello e bastone, il dolce nella bisaccia, e la cagna che lo seguiva dovunque.
Verso mezzogiorno, giunto ai margini di un'immensa foresta, si sedette sotto un albero a mangiare. Ricordando le raccomandazioni della madre, gettò un pezzetto di dolce al cane, che morì immediatamente fra atroci convulsioni.
Pieno di paura, il pastore buttò via il dolce. Mentre cercava nella foresta qualche frutto per calmare la fame, trovò una vacca morta, che sembrava pregna. Le squarciò il ventre e ne cavò il vitello per mangiarlo.
Ma come cuocerlo? Andando a caso nella foresta, vide una chiesa isolata, vi entrò, trovò dei lumi accesi, ammucchiò dei libri di chiesa, accese il fuoco e arrostì il vitello. Poi se lo mangiò tutto, lasciando solo la carcassa.
Gli venne sete. Ma dove trovare l'acqua? Nella foresta non c'era una fonte. Alzando gli occhi vide una lampada che conteneva acqua e sopra olio. Gettò via l'olio e bevve l'acqua.
Tornando dalla sua cagna morta, vide tre corvi che lottando tra di loro si preparavano a divorarla. Ma appena cominciarono a beccare, caddero tutti e tre morti stecchiti.
Il pastore si sedette a riflettere un momento. Poi, invece di ritornare sulla montagna, decise di tentare la sorte con la principessa.
Fece molta fatica a farsi ammettere nel palazzo, perché i soldati volevano cacciarlo. Ma, informata della sua presenza, la principessa ordinò di farlo entrare.
Si inchinò davanti a lei, offrendole il cuore o la testa. Poi le pose il seguente enigma:
"Un pezzetto di dolce ha fatto morire la cocchina. La cocchina morta, poveretta, ha fatto morire tre negri. Ho preso della carne che era nata e non lo era. Ho fatto l'arrosto con le lettere e ho bevuto acqua che non era né in cielo, né in terra".
Malgrado la sua scienza, la principessa non fu capace di rispondere. Chiese tre giorni per pensarci e il pastore glieli concesse. Ma lei non seppe sciogliere l'enigma. Sgomenta e smarrita, accettò di sposare il pastore, con il quale peraltro ebbe una vita tranquilla e felice.
Rosarita sei un angelo! Grazie infinite. Mass
RispondiEliminaIl Vostro dialogo mi ha incuriosito, e sono andato a leggere alcune di queste storielle. Trovo davvero sorprendente questa chiamiamola letteratura di serie B, dove confluiscono idee diverse, scaturite da esperienze diverse e latitudini diverse. Credo che sia fondamentale non disperdere le radici, che spesso affondano nella povertà, nella semplicità, insomma nella saggezza popolare, dove anche gli ultimi possono pure contribuire e lasciare un messaggio, un aiuto, una testimonianza o anche solo cinque minuti di pensiero. Grazie! Achille
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