GLI ALBERI
oltre il cancello
un albero senza foglie
parla
io rispondo.
un albero senza foglie
parla
io rispondo.
(Giorgia Satta)
Per una volta, non propongo un libro in particolare, ma un argomento: gli alberi. L'idea mi è venuta quando ho letto queste splendide righe della mia amica Giorgia, e improvvisamente mi sono ritornate alla mente alcune poesie, spesso dell'infanzia, mai dimenticate.
Quindi, vi invito: postate le vostre!
Quindi, vi invito: postate le vostre!
Ancora oggi, dopo 50 anni, mi sorprendo a recitare questa piccola poesia di Minou Drouet:
RispondiEliminaAlbero, amico mio,
la musica degli uccellini non ti pesa
ed il vento ti sfoglia
con dita che non si vedono.
Albero, sei come me,
ascolti la voce del silenzio,
agiti le foglie
come mani che tremano nel vento.
Albero, amico mio,
tu guardi il cielo
come io lo guardo
e il sole danza tra i rami
gioia degli uccellini.
E anche questa, della II elementare, che è addirittura di Leopardi:
RispondiEliminaLungi dal proprio ramo,
Povera foglia frale,
Dove vai tu? - Dal faggio
Là dov'io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando, a volo
Dal bosco alla campagna,
Dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente
Vo pellegrina, e tutto l'altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,
Dove naturalmente
Va la foglia di rosa,
E la foglia d'alloro.
Bella
EliminaQuesta me la ricordo con dispiacere. Nel mio libro di letture era illustrata.
RispondiEliminaLa quercia caduta di Giovanni Pascoli
Dov’era l’ombra, or sé la quercia spande
morta, né più coi turbini tenzona.
La gente dice: Or vedo:era pur grande!
Pendono qua e là dalla corona
i nidietti della primavera.
Dice la gente: Or vedo:era pur buona!
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera
ognuno col suo grave fascio va.
Nell’aria, un pianto… d’una capinera
che cerca il nido che non troverà.
lo so che è quasi banale, ma questo verde melograno mi perseguita fin da allora...
RispondiEliminaPianto antico, di Carducci
L'albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da' bei vermigli fiori
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l'inutil vita
Estremo unico fior,
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.
... nella sua voce parlava un albero... come spesso succede, noi tutti restiamo avvinghiati alle poesie per una frase, un odore, un'immagine. La mia immagine viene da qui:
RispondiEliminaLOS ÁRBOLES - EUGENIO MONTEJO
Hablan poco los árboles, se sabe.
Pasan la vida entera meditando
y moviendo sus ramas.
Basta mirarlos en otoño
cuando se juntan en los parques:
sólo conversan los más viejos,
los que reparten las nubes y los pájaros,
pero su voz se pierde entre las hojas
y muy poco nos llega, casi nada.
Es difícil llenar un breve libro
con pensamientos de árboles.
Todo en ellos es vago, fragmentario.
Hoy, por ejemplo, al escuchar el grito
de un tordo negro, ya en camino a casa,
grito final de quien no aguarda otro verano,
comprendí que en su voz hablaba un árbol,
uno de tantos,
pero no sé qué hacer con ese grito,
no sé cómo anotarlo.
(de Algunas palabras, 1976)
GLI ALBERI - traduzione di Luca Rosi
Parlano poco gli alberi, si sa.
Passano tutta la vita meditando
e muovendo i loro rami.
Basta guardarli in autunno
quando si riuniscono nei parchi:
soltanto i più vecchi conversano,
quelli che donano le nuvole e gli uccelli,
ma la loro voce si perde tra le foglie
e assai poco percepiamo, quasi niente.
È difficile riempire un piccolo libro
coi pensieri degli alberi.
Tutto in essi è vago, frammentario.
Oggi, ad esempio, mentre ascoltavo il grido
di un tordo nero, di ritorno verso casa,
grido ultimo di chi non attende un'altra estate,
ho capito che nella sua voce parlava un albero,
uno dei tanti,
ma non so cosa fare di quel grido,
non so come trascriverlo.
(da Alcune parole, 1976)
TU NON SAI
RispondiEliminaTu non sai:
ci sono betulle che di notte
levano le loro radici,
e tu non crederesti mai
che di notte gli alberi
camminano o diventano sogni.
Pensa che in un albero c'è un
violino d'amore.
Pensa che un albero canta e ride.
Pensa che un albero sta
in un crepaccio e poi diventa vita.
Te l'ho già detto: i poeti non si redimono,
vanno lasciati volare tra gli alberi
come usignoli pronti a morire.
(Alda Merini)
aggiungo questa, scritta da una poetessa che mi piace tanto.
Preferisco i libri, ma ho questa sotto mano che mi sembra adatta:
RispondiEliminaIl PIOPPO (Ada Negri)
Sotto la brina il pioppo è di cristallo:
se lo tocchi l'infrangi; e piomba al suolo
con tintinnio di frantumate lastre.
Lo diresti un altissimo zampillo
che un incanto invetrò; ma dentro è vivo,
e lo strazia desìo di primavera.
« Oh, mai più tornerà la primavera,
pensa. - Mai più. Son vecchio.
Non mi resta foglia sui rami,
uccello che mi canti
in vetta, linfa nelle vene, strido
di cicala sul tronco. E ciascun giorno
che passa, accresce il gelo; e già mi sento
vicino a morte ».
Ma un mattino, il sole
rompe l'algore: scioglie in molle pianto
sugli stecchiti rami il vel di ghiaccio:
torna la linfa e il verde: giovinezza
ritorna, e n'ha sì gran sorpresa il pioppo
ch'ogni sua foglia, anche se tace il vento,
trema di gioia: anche la notte, in sogno,
trema di gioia in ogni foglia il pioppo.
direttamente da facebook:
RispondiEliminaUlivo
Braccia nodose
vestite di un sussurro verde argento
accarezzano il cielo senza tempo.
Lo stormire delle foglie
racconta
degli uomini
della fatica, del lavoro
mentre fili di perle ondeggiano al vento,
ricca promessa di oro verde.
All'ombra della casa
siede la donna.
Taglia il pane con gesto lento,
versa un filo d'olio, un pò di sale
e mangia
guardando lontano,
verso quel mare azzurro,
che è solo una striscia di colore
all'orizzonte.
Anna Maria Folchini Stabile
In USA si studia questa:
RispondiEliminaALBERI - Joyce Kilmer
(Trees and other Poems, 1914) trad. F.Arminio
Credo che non vedrò mai
una poesia adorabile quanto un albero.
Un albero la cui bocca affamata sia puntata
contro il seno dolce e crescente della terra;
un albero che guardi a Dio tutto il giorno,
ed elevi le sue braccia fogliari in preghiera;
un albero che possa vestire in estate
un nido di pettirossi fra i suoi capelli;
sulla cui superficie la neve venga deposta;
che respiri manifestamente insieme alla pioggia.
Le poesie sono cucite dai pazzi come me,
ma soltanto Dio può creare un albero.
Trees - Joyce Kilmer
I think that I shall never see
A poem lovely as a tree.
A tree whose hungry mouth is prest
Against the sweet earth’s flowing breast;
A tree that looks at God all day,
And lifts her leafy arms to pray;
A tree that may in summer wear
A nest of robins in her hair;
Upon whose bosom snow has lain;
Who intimately lives with rain.
Poems are made by fools like me,
But only God can make a tree.
Torno bambino, eccola:
RispondiEliminaALBERI - DIEGO VALERI
Sempre fermi, sempre ritti,
sempre zitti,
come impavidi soldati,
stanno i buoni alberi, armati
sol di foglie e fiori e frutti,
di cui fanno dono a tutti.
Tutto danno quel che hanno
e per sé tengono solo
un gorgheggio d’usignolo
un fischietto di fringuello
un sussurro di ruscello.
Diego Valeri
Torno bambina anch'io:
RispondiEliminaIl testamento dell’albero - TRILUSSA
Un albero d’un bosco
chiamò gli uccelli e fece testamento:
“Lascio i miei fiori al mare,
lascio le foglie al vento,
i frutti al sole e poi
tutti i semetti a voi,
a voi, poveri uccelli,
perché mi cantavate la canzone
della bella stagione…
E voglio che gli stecchi,
quando saranno secchi,
facciano il fuoco per i poverelli."
GLI ALBERI - Renzo Pezzani
RispondiEliminaDove sono gli alberi qui la vita trova
cento beatitudini: fiori, frutti, ombre,
profumi, canti, colori, ricchezze, salute...
Sui pendii montani ove si torce, battuto
dai venti e ferito dalle folgori, l'albero
ghermisce con le radici la terra e l'aiuta
dalle frane; rompe col tronco tenace il peso
sdrucciolevole delle nevi ed evita le valanghe;
contende le prode al ruinoso torrente; fiacca
i venti, protegge dalle piogge improvvise e
dal sole meridiano i pastori e i greggi.
A valle, vive sui margini dei poderi e delle
colture. Segue le strade; si sporge dal muro
degli orti; stormisce lungo argini e canali; si
lascia abbattere, spartire in ceppi e fascine,
in tavole bianche che il falegname sega,
incide, inchioda per la vita e per la morte.
Nel bosco - Lina Schwarz
RispondiEliminaNel bosco ogni vecchio gigante,
sia abete, sia quercia, sia pino,
ha intorno, ai suoi piedi, un giardino:
di piccole piante.
Son muschi, son felci, son fiori,
e fragole rosse e lichene,
cui l'albero antico vuol bene,
suoi teneri amor.
E mentre la fronda superba
protende più in su verso i cieli,
ei pensa a quegli umili steli
nell'ombra, tra l'erbe.
Infanzia x infanzia...
RispondiEliminaSALTA AGLI OCCHI
Gli alberi
Sono sciocchi.
Salta agli occhi.
Si spogliano in autunno,
si rivestono a primavera.
Tutt'al contrario, mi pare
di quello
che dovrebbero fare.
Gli alberi,
è evidente,
non capiscono un bel niente.
S. Bozzi
Infanzia, il ritorno: Albero secco
RispondiEliminaUn albero secco
fuori della mia finestra
solitaria
leva nel cielo freddo
i suoi rami bruni.
Il vento rabbioso la neve il gelo
non possono ferirlo.
Ogni giorno quell’albero
mi dà pensieri di gioia:
da quei rami secchi
indovino il verde a venire.
Wang Ya-Ping
se faggio fa rima con messaggio...
RispondiEliminaIl maestoso faggio, di Maria Ivana Trevisani Bach
Un fragore assordante stupra il silenzio del bosco.
Stridono, vibrando, i denti della lama d'acciaio,
e sbranano, ingordi, il tronco bagnato
del maestoso, solenne
ed altissimo Faggio.
Scricchiolando, il fusto si inclina su un lato
e, tentando un ultimo abbraccio,
intreccia i suoi rami coi rami fratelli.
Poi, s’abbatte di schianto,
con immenso boato,
facendo tremare la terra
nella grande foresta atterrita
e sgomenta per l’ultimo oltraggio.
Muto, il fusto appena troncato,
piange limpide perle di linfa
e mostra, nella ferita,
numerosi concentrici anelli;
impronte di un lungo e remoto passato:
inverni di neve, di vento e di ghiaccio,
concerti gioiosi di canti di uccelli
nel tiepido sole del mese di maggio.
Triste, osservo con attenzione,
quel taglio, quella sezione di vita,
e la crittografia che, ad ogni stagione,
per segreta e cifrata memoria,
negli anelli è stata scolpita,
senza capirne l’arcano linguaggio.
Così, alla fine della nostra vita,
i polverosi microsolchi neri,
su cui fu incisa ogni storia,
senza un pick up, senza un congegno di diffusione,
resteranno un muto, misterioso messaggio.
Alberi - (F. Garcia Lorca)
RispondiEliminaAlberi!
Frecce voi siete
dall’azzurro cadute?
Quali tremendi guerrieri
vi scagliarono?
Sono state le stelle?
Vengon le vostre musiche
dall’anima degli uccelli,
dagli occhi di dio.
Eccola per intero, e con la versione originale:
EliminaALBERI - FEDERICO GARCIA LORCA
Alberi!
Frecce voi siete
dall’azzurro cadute?
Quali tremendi guerrieri
vi scagliarono?
Sono state le stelle?
Vengon le vostre musiche
dall’anima degli uccelli,
dagli occhi di Dio,
da una perfetta passione.
Alberi!
Le vostre radici rozze si
accorgeranno
del mio cuore sotto terra?
ÁRBOLES - FEDERICO GARCIA LORCA
¡Árboles!
¿Habéis sido flechas
caídas del azul?
¿Qué terribles guerreros os lanzaron?
¿Han sido las estrellas?
Vuestras músicas vienen del alma de los pájaros,
de los ojos de Dios,
de la pasión perfecta.
¡Arboles!
¿Conocerán vuestras raíces toscas
mi corazón en tierra?
l'ho studiata in prima media
RispondiEliminaLa canzone dell'ulivo, di Giovanni Pascoli (dai Canti di Castelvecchio)
A' piedi del vecchio maniero
che ingombrano l'edera e il rovo;
dove abita un bruno sparviero,
non altro, di vivo;
che strilla e si leva, ed a spire
poi torna, turbato nel covo,
chi sa? dall'andare e venire
d'un vecchio balivo:
a' piedi dell'odio che, alfine,
solo è con le proprie rovine,
piantiamo l'ulivo!
II
l'ulivo che a gli uomini appresti
la bacca ch'è cibo e ch'è luce,
gremita, che alcuna ne resti
pel tordo sassello;
l'ulivo che ombreggi d'un glauco
pallore la rupe già truce,
dov'erri la pecora, e rauco
la chiami l'agnello;
l'ulivo che dia le vermene
pel figlio dell'uomo, che viene
sul mite asinello.
III
Portate il piccone; rimanga
l'aratro nell'ozio dell'aie.
Respinge il marrello e la vanga
lo sterile clivo.
Il clivo che ripido sale,
biancheggia di sassi e di ghiaie;
lo assordano l'ebbre cicale
col grido solivo.
Qui radichi e cresca! Non vuole,
per crescere, ch'aria, che sole,
che tempo, l'ulivo!
IV
Nei massi le barbe, e nel cielo
le piccole foglie d'argento!
Serbate a più gracile stelo
più soffici zolle!
Tra i massi s'avvinchia, e non cede,
se i massi non cedono, al vento.
Lì, soffre, ma cresce, né chiede
più ciò che non volle.
L'ulivo che soffre ma bea,
che ciò ch'è più duro, ciò crea
che scorre più molle.
V
Per sé, c'è chi semina i biondi
solleciti grani cui copra
la neve del verno e cui mondi
lo zefiro estivo.
Per sé, c'è chi pianta l'alloro
che presto l'ombreggi e che sopra
lui regni, al sussurro canoro
del labile rivo.
Non male. Noi mèsse pei figli,
noi, ombra pei figli de' figli,
piantiamo l'ulivo!
VI
Voi, alberi sùbiti, date
pur ombra a chi pianta ed innesta;
voi, frutto; e le brevi fiammate
col rombo seguace!
Tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla; ma resta!
ma cresci, sicuro e tardivo,
nel tempo che tace!
ma nutri il lumino soletto
che, dopo, ci brilli sul letto
dell'ultima pace!
L'arvulu ti l'aulìa
RispondiEliminaMa quantu sinti beddu,
arvulu ti l'aulìa,
cu 'ddi fraschi luciti,
ca parunu t'argientu,
ca brillunu a llu soli
e cantan'a llu vientu.
Mi pari 'nu gicanti,
a mienz'a tanta chianti
ti pricuechi e ti meli,
cirasi, fichi, peri,
ca sulu cu ti 'uardu,
mi sentu biviscère.
Tuttu tu ndi tai:
lu legnu pi lla naca,
lu vinchiu a llu pastori,
li palmi pi la paci,
la tàula pi lla croci.
Passunu puru sieculi
e tu non mueri mai,
sempri 'ntra lla campagna,
'ntra llu verdi stai.
Quandu po' eti tiempu
ti 'ccogghiri l'aulìi,
eti 'na festa crandi,
carosi e villanieddi
'rrivunu ti tutti vandi.
Ti quiddi aulìi neri
si spremi uegghiu finu,
servi pi l'Oliu Santu,
a mpicciari 'nu lampinu,
pi ccunzari li frisi
cu rienu e pumbitori,
ti veni 'nu suspiru
propria ti 'ntra llu cori,
ti sienti assa' prisciatu,
ti sienti 'nu signori,
ca quiddu uegghiu t'oru
e' propria 'nu tisoru.
L'albero d'olivo
Ma quanto sei bello,
albero d'olivo,
con quelle foglie lucide,
che sembrano d'argento,
che brillano al sole
e cantano al vento.
Mi sembri un gigante,
in mezzo a tante piante
di peschi e di meli,
ciliegi, fichi, peri,
che soltanto a guardarti,
mi sento rinascere.
Tutto tu ci dai:
il legno per la culla,
il pollone al pastore,
le palme per la pace,
il legno per la croce.
Possono passare secoli
E tu non muori mai,
sempre in campagna,
dentro il verde stai.
Quando poi è tempo
Di raccogliere le olive,
è una festa grande,
giovani e contadini
arrivano da tutte le parti.
Dalle olive nere
Si spreme olio fino,
serve per l'olio santo,
ad accendere un lumino,
per condire le frise
con origano e pomodori,
ti viene un sospiro
proprio da dentro al cuore,
ti sento molto contento,
ti senti un signore,
che quell'olio di oro
è proprio un tesoro.
Questa e' bellissima, sono spiacente ma non trovo l'autore
RispondiEliminaDedicata ai cipressi della Maremma
Davanti a San Guido
EliminaI cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí ?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d'un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei—
Guardando lor rispondeva — oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
Or non è piú quel tempo e quell'età.
Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.
E massime a le piante. — Un mormorio
Pe' dubitanti vertici ondeggiò
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe' parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
EliminaL'umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com'è allegro de' passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da' fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l'ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l'ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co 'l lor bianco velo;
E Pan l'eterno che su l'erme alture
A quell'ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io—Lontano, oltre Apennin, m'aspetta
La Tittí — rispondea; — lasciatem'ire.
È la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de' cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l'ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch'è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co 'l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com'era bella
Quand'ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest'uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
— Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr'io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
e finisco con un branetto di Dante Alighieri
RispondiEliminaLa selva dei suicidi
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;
non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco.
(vv. 4-6, canto 13o, Inferno, Divina Commedia)
PIOPPO MORTO - FEDERICO GARCIA LORCA
RispondiEliminaVecchio pioppo!
Sei caduto
nello specchio
dello stagno addormentato,
piegando la fronte
al tramonto.
Non è stato il roco uragano
a spezzare il tuo tronco
né la pesante ascia
del boscaiolo, che sa
che tu devi
rinascere.
E' stato il tuo spirito forte
a chiamare la morte
vedendosi senza nidi, dimenticato
dai pioppi bambini del prato.
Gli è che tu avevi
sete di pensiero,
e la tua enorme testa centenaria,
solitaria, ascoltava i canti
lontani dei tuoi fratelli.
Non sarai più la culla
della luna,
né il magico riso
della brezza
né il bastone di una stella
a cavallo.
Non tornerà la primavera
della tua vita, né vedrai fiorire
i seminati.
Sarai nido di rane
e di formiche.
Avrai per capelli le ortiche
e un giorno la corrente
porterà via la tua corteccia
tristemente.
Vecchio pioppo!
Sei caduto
nello specchio
dello stagno addormentato.
Ti ho visto cadere al crepuscolo
e scrivo la tua elegia
che è anche la mia.
questa è la versione originale:
EliminaCHOPO MUERTO - FEDERICO GARCIA LORCA
1920
¡Chopo viejo!
Has caído
en el espejo
del remanso dormido,
abatiendo tu frente
ante el Poniente.
No fue el vendaval ronco
el que rompió tu tronco,
ni fue el hachazo grave
del leñador, que sabe
has de volver
a nacer.
Fue tu espíritu fuerte
el que llamó a la muerte,
al hallarse sin nidos, olvidado
de los chopos infantes del prado.
Fue que estabas sediento
de pensamiento,
y tu enorme cabeza centenaria,
solitaria,
escuchaba los lejanos
cantos de tus hermanos.
En tu cuerpo guardabas
las lavas
de tu pasión,
y en tu corazón,
el semen sin futuro de Pegaso.
La terrible simiente
de un amor inocente
por el sol de ocaso.
¡Qué amargura tan honda
para el paisaje,
el héroe de la fronda
sin ramaje!
Ya no serás la cuna
de la luna,
ni la mágica risa
de la brisa,
ni el bastón de un lucero
caballero.
No tornará la primavera
de tu vida,
ni verás la sementera
florecida.
Serás nidal de ranas
y de hormigas.
Tendrás por verdes canas
las ortigas,
y un día la corriente
llevará tu corteza
con tristeza.
¡Chopo viejo!
Has caído
en el espejo
del remanso dormido.
Yo te vi descender
en el atardecer
y escribo tu elegía,
que es la mía.
I PIOPPI D'ARGENTO - FEDERICO GARCIA LORCA
RispondiEliminaI pioppi d'argento si piegano sull'acqua:
sanno tutto, ma non lo diranno.
Il giglio della fonte non urla la sua tristezza.
Tutto è più degno che l'umanità!
La scienza del silenzio di fronte al cielo stellato
l'hanno soltanto il fiore e l'insetto.
La scienza del canto per il canto l'hanno
i boschi mormoranti e le acque del mare.
Il profondo silenzio della vita sulla terra
ce lo insegna la rosa aperta sul roseto.
Bisogna diffondere il profumo chiuso nelle nostre anime
Bisogna essere canto, luce e bontà.
Bisogna aprirsi per intero di fronte alla notte nera,
perché ci riempiamo di rugiada immortale!
Bisogna coricare il corpo nell'anima inquieta!
Bisogna accecarsi gli occhi con la luce dell'aldilà.
Dobbiamo affacciarci sull'ombra dei cuori,
e strappare le stelle che ci ha messo Satana.
Bisogna essere come l'albero che è sempre in preghiera,
come l'acqua del fiume fissa all'eternità!
Bisogna lacerarsi l'anima con artigli di tristezza
perché c'entrino le fiamme dell'orizzonte astrale!
Allora nell'ombra del cuore tarlato
nascerebbe una sorgente d'aurora tranquilla e materna.
Sparirebbero città al vento.
E vedremmo passare in una nuvola Dio.
Maggio 1919
questa è la versione originale:
EliminaLOS ALAMOS DE PLATA - FEDERICO GARCIA LORCA
Mayo de 1919
Los álamos de plata
se inclinan sobre el agua,
ellos todo lo saben, pero nunca hablarán.
El lirio de la fuente
no grita su tristeza.
¡Todo es más digno que la Humanidad!
La ciencia del silencio frente al cielo estrellado,
la posee la flor y el insecto no más.
La ciencia de los cantos por los cantos la tienen
los bosques rumorosos
y las aguas del mar.
El silencio profundo de la vida en la tierra,
nos lo enseña la rosa
abierta en el rosal.
¡Hay que dar el perfume
que encierran nuestras almas!
Hay que ser todo cantos,
todo luz y bondad.
¡Hay que abrirse del todo
frente a la noche negra,
para que nos llenemos de rocío inmortal!
¡Hay que acostar al cuerpo
dentro del alma inquieta!
Hay que cegar los ojos con luz de más allá,
a la sombra del pecho,
y arrancar las estrellas que nos puso Satán.
¡Hay que ser como el árbol
que siempre está rezando,
como el agua del cauce
fija en la eternidad!
¡Hay que arañarse el alma con garras de tristeza
para que entren las llamas
del horizonte astral!
Brotaría en la sombra del amor carcomido
una fuente de aurora
tranquila y maternal.
Desaparecerían ciudades en el viento.
Y a Dios en una nube
veríamos pasar.
IN MEMORIAM - FEDERICO GARCIA LORCA
RispondiEliminaDolce pioppo,
dolce pioppo,
sei diventato
d'oro.
Ieri eri verde,
un verde folle
di uccelli
gloriosi.
Oggi sei abbattuto
sotto il cielo d'agosto
come me sotto il cielo
del mio spirito rosso.
La fragranza prigioniera
del tuo tronco
toccherà il mio cuore
pietoso.
Ruvido avo del prato!
Noi
siamo diventati
d'oro.
agosto 1920, traduzione Carlo Bo
********
"In memoriam" - Federico Garcia Lorca
Agosto de 1920
Dulce chopo,
dulce chopo,
te has puesto
de oro.
Ayer estabas verde,
un verde loco
de pájaros
gloriosos.
Hoy estás abatido
bajo el cielo de agosto
como yo bajo el cielo
de mi espíritu rojo.
La fragancia cautiva
de tu tronco
vendrá a mi corazón
piadoso.
¡Rudo abuelo del prado!
Nosotros
nos hemos puesto
de oro.
Un abete speciale di Gianni Rodari
RispondiEliminaQuest'anno mi voglio fare
un albero di Natale
di tipo speciale,
· ma bello veramente.
Non lo farò in tinello,
lo farò nella mente,
con centomila rami
e un miliardo di lampadine,
e tutti i doni
che non stanno nelle vetrine.
Un raggio di sole
per il passero che trema,
un ciuffo di viole
per il prato gelato,
un aumento di pensione
per il vecchio pensionato.
E poi giochi,
giocattoli, balocchi
quanti ne puoi contare
a spalancare gli occhi:
un milione, cento milioni
di bellissimi doni
per quei bambini
che non ebbero mai
un regalo di Natale,
e per loro ogni giorno
all’altro è uguale,
e non è mai festa.
Perché se un bimbo
resta senza niente,
anche uno solo, piccolo,
che piangere non si sente,
Natale è tutto sbagliato.
L'abete di Natale di Gianni Rodari
RispondiEliminaChi abita sull'abete
tra i doni e le comete?
C' è un Babbo Natale
alto quanto un ditale.
Ci sono i sette nani,
gli indiani,
i marziani.
Ci ha fatto il suo nido
perfino Mignolino.
C'è posto per tutti,
per tutti c'è un lumino
e tanta pace per chi la vuole
per chi da che la pace
scalda anche più del sole
Mica solo infanzia. Tanto per gradire...
RispondiEliminaAcero - Sergej Esenin
Caro acero raggrinzito, acero assiderato,
Perché te ne stai in ginocchio sotto la bianca bufera?
Hai avvistato o sentito qualcosa?
Sembra che tu sia andato a spasso fuori dal villaggio
E come una sentinella ubriaca, sulla strada,
Sia affondato nella neve, e ti sia congelato un piede.
Sai, anch’io, fatico un bel po’ a stare dritto,
Non so se arriverò a casa dopo la baldoria con gli amici.
Laggiù ho incontrato il salice, ho riconosciuto il pino,
Li ho salutati con le canzoni dell’estate.
E io stesso mi sono sentito un acero,
Non appassito però, ma tutto verde.
E, accantonato il pudore, la testa nei fumi,
Una betulla ho abbracciato quasi rubassi una moglie altrui.
[1925]
Ho lasciato la casa della mia infanzia,
EliminaHo lasciato la Russia celeste.
Le betulle sullo stagno, in tre fiamme,
Scaldano il vecchio cuore di mia madre.
La luna, rana d’oro del firmamento,
Naviga nell’acqua tranquilla:
Sulla barba paterna si è posata la brina
Candida come il fiore del melo.
E io non tornerò tanto presto!
A lungo canterà, griderà la bufera.
Diritto sopra un piede l’acero antico
Sta di guardia alla Russia celeste.
Lo so, felice è colui che gli bacia,
La pioggia delle foglie,
Anche perché simile al mio
È il capo di quell’acero antico.
(Sergej Esenin)
Betulla - Sergej Esenin
EliminaLa betulla bianca
sotto la mia finestra
s’è coperta di neve,
come d’argento.
Ai rami soffici
come un orlo di neve
sono sbocciate le gemme
come una bianca frangia.
E sta la betulla
nel silenzio assonnato,
e ardono i fiocchi
in un fuoco d’oro.
E l’alba, pigra
girando intorno,
avvolge i rami
di un nuovo argento.
La candida betulla,
Eliminasotto la mia finestra,
è stata avvolta dalla neve
come una tenda d’argento.
Sui rami pieni di foglie,
dalla stoffa di neve
si sono staccati i fili
di una candida frangia.
Si erge la betulla
nella calma addormentata,
e brilla la neve
nella luce dorata.
Ma l’alba inerte,
vagando intorno,
ricopre i rami
di un nuovo argento.
***
O petto di fanciulla,
capelli verdi,
minuta betulla
che si contempla nello stagno.
Che cosa sussurra il vento?
Di cosa parla la collina di sabbia?
Stai tentando forse di trovare nel cielo un pettine di luna?
A me che sento il tempo
nel tuo austero sussurro
manifesta i tuoi nascosti pensieri di legno!
Ma la betulla dice di rimando,
“ Dolce, che sei un amico smanioso di sapere,
l’altra notte al mio tronco
ha versato lacrime un pastore.
Brillavano i cespugli
nel bacio della luna,
ed egli muto mi rendeva più stretta la cintura.
Poi, gemendo dai rami,
alla canzone mi hai bisbigliato,
-a presto , colomba.
Alle gru d’un’altra stagione”
Sergej Esenin
Semplicemente deliziosa, e proposta da un anonimo:
RispondiEliminaIL CASTAGNO - GIANNI RODARI
Un tempo ero un castagno,
fermo nella tempesta:
tra i miei rami fiorivano
i nidi sempre in festa.
Vennero i boscaioli,
io caddi senza un grido.
Ora sono il tuo letto:
non sono sempre un nido?
Altra proposta da anonimo:
RispondiEliminaCIPRESSO - Giovanni Pascoli
O cipresso, che solo e nero stacchi
dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto
irto, di cardi e stridulo di biacchi:
in te sovente, al tempo delle more,
odono i bimbi un pispillìo secreto,
come d’un nido che ti sogni in cuore.
L’ultima cova. Tu canti sommesso
mentre s’allunga l’ombra taciturna
nel tristo campo: quasi, ermo cipresso,
ella ricerchi tra que’ bronchi un’urna.
Più brevi i giorni, e l’ombra ogni dì meno
s’indugia e cerca, irrequieta, al sole;
e il sole è freddo e pallido il sereno.
L’ombra, ogni sera prima, entra nell’ombra:
nell’ombra ove le stelle errano sole.
E il rovo arrossa e con le spine ingombra
tutti i sentieri, e cadono già roggie
le foglie intorno (indifferente oscilla
l’ermo cipresso), e già le prime pioggie
fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.
E il tuo nido? il tuo nido?… Ulula forte
il vento e t’urta e ti percuote a lungo:
tu sorgi, e resti; simile alla Morte.
E il tuo cuore? il tuo cuore?… Orrida trebbia
l’acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,
di nebbia nera tra la grigia nebbia.
E il tuo sogno? La terra ecco scompare:
la neve, muta a guisa del pensiero,
cade. Tra il bianco e tacito franare
tu stai, gigante immobilmente nero.
Giovanni Pascoli
RispondiEliminaStavano neri al lume della luna
gli erti cipressi, guglie di basalto,
quando tra l’ombre svolo’ rapida una
ombra dall’alto:
orma sognata d’un volar di piume,
orma d’un soffio molle di velluto,
che passo’ l’ombre e scivolo’ nel lume
pallido e muto:
ed i cipressi sul deserto lido
stavano come un nero colonnato,
rigidi, ognuno con tra i rami un nido
addormentato.
E sopra tanta vita addormentata
dentro i cipressi, in mezzo alla brughiera
sonare, ecco, una stridula risata
di fattucchiera:
una minaccia stridula seguita,
forse, da brevi pigolii sommessi,
dal palpitar di tutta quella vita
dentro i cipressi…
RIO BO - Aldo Palazzeschi
RispondiEliminaTre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticelllo,
un esiguo ruscello: Rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, vero,
paese da nulla, ma per…
c’è sempre di sopra una stella,
una grande magnifica stella,
che a un dipresso…
occhieggia con la punta del cipresso
di Rio Bo.
Una stella innamorata!
Chi sa
se nemmeno ce l’ha
una grande città.
Leccio - Giuseppe Ungaretti
RispondiEliminaMagica luna, tanto sei consunta
che, rompendo il silenzio,
poggi sui vecchi lecci dell'altura,
un velo lubrico.
("Preludio")
I Limoni - Eugenio Montale
RispondiEliminaAscoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: i bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche spaurita anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spegnono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui nelle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi in alto tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara -amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Altra proposta di anonimo
RispondiEliminaEUGENIO MONTALE : LA BUFERA
La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell'oro
che s'è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella
eternità d'istante - marmo manna
e distruzione - ch'entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l'amore a me, strana sorella, -
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa...
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti - per entrar nel buio.
A UN OLMO SECCO - ANTONIO MACHADO
RispondiEliminaAl vecchio olmo, spaccato dalla folgore
e nel mezzo marcito,
con le piogge d'aprile e il sole a maggio,
sono spuntate alcune verdi foglie.
Oh, l'olmo secolare sopra il colle
ch'è lambito dal Duero! La corteccia
bianchiccia da un gialligno musco è tinta
nel tronco putrefatto e polveroso.
Come i pioppi canori, che sorvegliano
il cammino e la riva, non sarà
di rossicci usignuoli popolato.
S'arrampica su esso di formiche
un esercito in fila, e nelle viscere
tramano i ragni le lor grigie tele.
Olmo del Duero, prima che t'abbatta
con l'ascia il legnaiuolo, e il falegname
trasformi in un mozzo di campana ,
stanga di carro o giogo di carrettai
prima che rosso nel camino arda
domani in qualche misera casetta.
sull'orlo d'una strada;
prima che ti annienti un turbine e ti schianti
il soffio delle candide montagne;
prima che il fiume ti sospinga al mare
per valli e per burroni,
olmo, voglio annotare nei miei appunti
la grazia del tuo ramo rinverdito.
Anche il mio cuore aspetta,
alla luce guardando ed alla vita,
altro prodigio della primavera.
*******
A UN OLMO SECO - ANTONIO MACHADO
Al olmo viejo, hendido por el rayo
y en su mitad podrido,
con las lluvias de abril y el sol de mayo
algunas hojas verdes le han salido.
¡El olmo centenario en la colina
que lame el Duero! Un musgo amarillento
le mancha la corteza blanquecina
al tronco carcomido y polvoriento.
No será, cual los álamos cantores
que guardan el camino y la ribera,
habitado de pardos ruiseñores.
Ejército de hormigas en hilera
va trepando por él, y en sus entrañas
urden sus telas grises las arañas.
Antes que te derribe, olmo del Duero,
con su hacha el leñador, y el carpintero
te convierta en melena de campana,
lanza de carro o yugo de carreta;
antes que rojo en el hogar, mañana,
ardas en alguna mísera caseta,
al borde de un camino;
antes que te descuaje un torbellino
y tronche el soplo de las sierras blancas;
antes que el río hasta la mar te empuje
por valles y barrancas,
olmo, quiero anotar en mi cartera
la gracia de tu rama verdecida.
Mi corazón espera
también, hacia la luz y hacia la vida,
otro milagro de la primavera.
Rifugio d’uccelli notturni - Salvatore Quasimodo
RispondiEliminaIn alto c’è un pino distorto;
sta intento ed ascolta l’abisso
col fusto piegato a balestra.
Rifugio d’uccelli notturni,
nell’ora più alta risuona
d’un battere d’ali veloce.
Ha pure un suo nido il mio cuore
sospeso nel buio, una voce;
sta pure in ascolto, la notte.
CHARLES WEBSTER - Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River
RispondiEliminaI boschi di pini sulla collina,
e la fattoria lontana miglia e miglia,
apparivano nitidi come dietro una lente
sotto il cielo di un azzurro pavone!
Ma una coperta di nuvole nel pomeriggio
avvolse la terra. E tu camminavi la strada
e il campo dei trifogli, dove l’unica voce
era il tremolo vivo del grillo.
Poi il sole tramonto’ fra grandi cumuli
di lontane burrasche. Si levo’ un vento
e spazzo’ il cielo che attizzava le fiamme
delle stelle scoperte;
e faceva oscillare la luna rossiccia,
che pendeva fra l’orlo del colle
e i rami scintillanti del frutteto.
Tu camminavi soprappensiero sulla riva
dove le gole delle onde erano come civette
che cantassero sotto l’acqua e piangessero
allo sciacquio del vento in mezzo ai cedri.
Finche’ tu ti fermasti, troppo commossa per piangere,
e vicino alla casa, in alto, vedesti Giove,
che sfiorava la vetta del pino gigante,
e in basso vedesti la mia sedia vuota,
cullata dal vento nel portico solitario-
sii coraggiosa, Amore!
*****
Charles Webster - Edgar Lee Masters (Spoon River Anthology)
The pine woods on the hill,
And the farmhouse miles away,
Showed clear as though behind a lens
Under a sky of peacock blue!
But a blanket of cloud by afternoon
Muffled the earth. And you walked the road
And the clover field, where the only sound
Was the cricket’s liquid tremolo.
Then the sun went down between great drifts
Of distant storms. For a rising wind
Swept clean the sky and blew the flames
Of the unprotected stars
And swayed the russet moon,
Hanging between the rim of the hill
And the twinkling boughs of the apple orchard.
You walked the shore in thought
Where the throats of the waves were like whip-poor-wills
Singing beneath the water and crying
To the wash of the wind in the cedar trees,
Till you stood, too full for tears, by the cot,
And looking up saw Jupiter,
Tipping the spire of the giant pine,
And looking down saw my vacant chair,
Rocked by the wind on the lonely porch—
Be brave, Beloved!
I pini solitari lungo il mare (Sandro Penna)
I pini solitari lungo il mare
desolato non sanno del mio amore.
Li sveglia il vento, la pioggia
dolce li bacia, il tuono
lontano li addormenta.
Ma i pini solitari non sapranno
mai del mio amore, mai della mia gioia.
Amore della terra, colma gioia
incompresa. Oh dove porti
lontano! Un giorno
i pini solitari non vedranno
- la pioggia li lecca, il sole li addormenta -
coll'amore danzare la mia morte.
La pioggia nel pineto (Gabriele d'Annunzio)
RispondiEliminaTaci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
bonjour se tres revaille ta maville. la poesiè de chaveau è tres magique com visier la matreial de jornes. a ma famille tous le journs va ou le merì en spiagge de france du nord. nous amons le reveille en rive de merì. au revoir madame e felice vians!!!
EliminaIl pioppeto (William Cowper)
RispondiEliminaHanno abbattuto i pioppi, addio all'ombra
e al mormorio del fresco colonnato,
il vento più non gioca né canta tra le foglie,
la loro immagine più l'Ouse non riceve.
Dodici anni fa scoprii un giorno
l'amato boschetto e la riva dei pioppi,
e ora nell'erba sono affondati,
e sedile mi fa chi ombra mi diede.
il merlo è fuggito ad altro riparo,
tra i noccioli ha trovato rifugio alla calura,
più non risuona la sua dolce voce
sulla scena che tanto mi aveva incantato.
brevi scompaiono i miei anni,
presto coi pioppi dovrò giacere,
una zolla sul petto, una pietra sul capo,
prima che un bosco sul posto rinasca.
La vista m'invita, più d'ogni altra cosa,
a meditare sugli effimeri piaceri umani:
la vita è sogno, ma il piacere si consuma
più rapido del respiro di un uomo.
CXLIII. The Poplar Field - William Cowper
EliminaThe poplars are fell'd! farewell to the shade
And the whispering sound of the cool colonnade;
The winds play no longer and sing in the leaves,
Nor Ouse on his bosom their image receives.
Twelve years have elapsed since I last took a view
Of my favourite field, and the bank where they grew;
And now in the grass behold they are laid,
And the tree is my seat that once lent me a shade!
The blackbird has fled to another retreat
Where the hazels afford him a screen from the heat,
And the scene where his melody charm'd me before
Resounds with his sweet-flowing ditty no more.
My fugitive years are all hasting away,
And I must ere long lie as lowly as they,
With a turf on my breast and a stone at my head,
Ere another such grove shall arise in its stead.
The change both my heart and my fancy employs,
I reflect on the frailty of man and his joys;
Short-lived as we are, yet our pleasures, we see,
Have a still shorter date, and die sooner than we.
Il pioppo di Karlsplatz (Bertolt Brecht)
RispondiEliminaUn pioppo c'è sulla Karlsplatz,
in mezzo a Berlino, città di rovine
e chi passa per la Karlsplatz
vede quel verde gentile .
Nell'inverno del Quarantasei
gelavano gli uomini, la legna era rara,
e tanti mai alberi caddero
e fu l'ultimo anno per loro.
Ma sempre il pioppo sulla Karlsplatz
quella sua foglia verde ci mostra:
sia grazie a voi, gente della Karlsplatz,
se ancora è nostra.
Eine Pappel steht am Karlsplatz
Eliminamitten in der Trümmerstadt Berlin,
und wenn Leute gehen übern Karlsplatz,
sehen sie ihr freundlich Grün.
In dem Winter sechsundvierzig
fror’n die Menschen, und das Holz war rar,
und es fiel’n da viele Bäume,
und es wurd’ ihr letztes Jahr.
Doch die Pappel dort am Karlsplatz
zeigt uns heute noch ihr grünes Blatt:
Seid bedankt, Anwohner vom Karlsplatz,
daß man sie noch immer hat.
QUERCIA - FEDERICO GARCIA LORCA
RispondiEliminaAlla tua casta ombra, quercia vecchia,
voglio scandagliare la fonte della mia vita
e togliere dal fango della mia ombra
i lirici smeraldi.
Butto le reti nell'acqua torbida
e le ritiro vuote.
In fondo al fango tenebroso
stanno le mie gemme!
Nascondi nel mio cuore i tuoi rami santi!
o solitaria quercia,
e lascia nella mia anima
i tuoi secreti e la tua calma passione!
Questa tristezza giovanile passa,
lo so! L'allegria
un'altra volta lascerò le sue ghirlande
sulla mia fronte ferita,
anche se le mie reti non pescheranno mai
l'occulta gemma
di tristezza incosciente che risplende
in fondo alla mia vita.
Ma il mio grande dolore trascendentale
è il tuo dolore, quercia.
E' lo stesso dolore delle stelle
e del fiore appassito.
Le lacrime scivolano a terra
e, come le tue resine,
corrono sull'acqua del fiume
che scende nella notte fredda.
E anche noi cadremo,
io con le mie gioie,
e tu pieni i rami di invisibili
ghiande metafisiche.
Non m'abbandonare mai nelle mie tristezze,
scheletrica amica.
Cantami con la tua bocca vecchia e casta
un'antica canzone,
con parole di terra intrecciate
all'azzurra melodia.
Getto ancora una volta la rete
nella fonte della mia vita,
rete fatta di fili di speranza,
nodi di poesia,
e prendo pietre false fra un fango
di passioni addormentate.
Col sole autunnale tutta l'acqua
della mia fontana vibra,
e noto che senza più radici
la quercia mi sfugge.
*****
ENCINA - Federico García Lorca(Libro de Poemas, 1921)
Bajo tu casta sombra, encina vieja,
quiero sondar la fuente de mi vida
y sacar de los fangos de mi sombra
las esmeraldas líricas.
Echo mis redes sobre el agua turbia
y las saco vacías.
¡Más abajo del cieno tenebroso
están mis pedrerías!
¡Hunde en mi pecho tus ramajes santos!
¡oh solitaria encina,
y deja en mi sub-alma
tus secretos y tu pasión tranquila!
Esta tristeza juvenil se pasa,
¡ya lo sé! La alegría
otra vez dejará sus guirnaldas
sobre mi frente herida,
aunque nunca mis redes pescarán
la oculta pedrería
de tristeza inconsciente que reluce
al fondo de mi vida.
Pero mi gran dolor trascendental
es tu dolor, encina.
Es el mismo dolor de las estrellas
y de la flor marchita.
Mis lágrimas resbalan a la tierra
y, como tus resinas,
corren sobre las aguas del gran cauce
que va a la noche fría.
Y nosotros también resbalaremos,
yo con mis pedrerías,
y tú plenas las ramas de invisibles
bellotas metafísicas.
No me abandones nunca en mis pesares,
esquelética amiga.
Cántame con tu boca vieja y casta
una canción antigua,
con palabras de tierra entrelazadas
en la azul melodía.
Vuelvo otra vez a echar las redes sobre
la fuente de mi vida,
redes hechas con hilos de esperanza,
nudos de poesía,
y saco piedras falsas entre un cieno
de pasiones dormidas.
Con el sol del otoño toda el agua
de mi fontana vibra,
y noto que sacando sus raíces
huye de mí la encina.
ALLE FRONDE DEI SALICI - SALVATORE QUASIMODO
RispondiEliminaE come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Il susino - Bertold Brecht
RispondiEliminaNel cortile c'e un susino.
Quant'è piccolo, non crederesti.
Gli hanno messo intorno una grata
perché la gente non lo pesti.
Se potesse, crescerebbe:
diventar grande gli piacerebbe.
Ma non servono parole:
quel che gli manca è il sole.
Che è un susino, appena lo credi
perché susine non ne fa.
Eppure è un susino e lo vedi
dalla foglia che ha.
Der Pflaumenbaum - Bertolt Brecht
EliminaIm Hofe steht ein Pflaumenbaum,
Der ist so klein, man glaubt es kaum.
Er hat ein Gitter drum,
So tritt ihn keiner um.
Der Kleine kann nicht größer wer'n,
Ja - größer wer'n, das möcht' er gern!
's ist keine Red davon:
Er hat zu wenig Sonn'.
Dem Pflaumenbaum, man glaubt ihm kaum,
Weil er nie eine Pflaume hat.
Doch er ist ein Pflaumenbaum:
Man kennt es an dem Blatt.
PAESAGGIO - FEDERICO GARCIA LORCA
RispondiEliminaIl campo
di ulivi
si apre e si chiude
come un ventaglio.
Sopra l'uliveto
c'è un cielo inabissato
e una pioggia scura
di stelle fredde.
Tremano giunco e penombra
sulla riva del fiume.
Si arriccia il vento grigio.
Gli ulivi
sono carichi
di grida.
Uno stormo
di uccelli prigionieri,
che muovono le loro lunghissime
code nell'ombra.
Paisaje - Federico García Lorca
El campo
de olivos
se abre y se cierra
como un abanico.
Sobre el olivar
hay un cielo hundido
y una lluvia oscura
de luceros fríos.
Tiembla junco y penumbra
a la orilla del río.
Se riza el aire gris.
Los olivos,
están cargados
de gritos.
Una bandada
de pájaros cautivos,
que mueven sus larguísimas
colas en lo sombrío.
L'ho trovata, la condivido idealmente e realmente
RispondiEliminaIl salice piangente, di Antonella Iuliano
Salice delle lacrime
sul sentiero della vita,
su di un viale dove i sogni
trovan spazio per esistere
prima d’esser asciugati
dal vento arido della malinconia:
muove le tue corde e fugge via.
Salice che piangi
E alla terra pieghi i tuoi rami,
il cielo ti sovrasta.
Egli non asciuga il tuo pianto,
non ferma le sue nuvole
che per il mondo vanno,
a contemplare il tuo dolore.
Salice che bagni il suolo,
né tempesta che ti scuote,
né sole che ti scalda,
né luce né acqua che ti dan vita,
fermeranno le tue lacrime,
essi non odono il tuo tormento.
Salice che abbassi le tue palpebre
ogni cosa sulla terra guarda
la quercia, il pino, il ciliegio e tutti
gli arbusti e i fiori sgargianti
nei loro mille colori, sorridere al
cielo e tu puoi solo piangere,
incapace di innalzare i tuoi rami alla vita.
Er Salice Piangente, di Trilussa
RispondiElimina- Che fatica sprecata ch'è la tua!
- diceva er Fiume a un Salice Piangente
che se piagneva l'animaccia sua -
Perchè te struggi a ricordà un passato
se tutto quer che fu nun è più gnente?
Perfino li rimpianti più sinceri
finisce che te sciupeno er cervello
per quello che desideri e che speri.
Più ch'a le cose che so' state ieri
pensa a domani e cerca che sia bello!
Er Salice fiottò: - Pe' parte mia
nun ciò né desideri né speranze:
io so' l'ombrello de le rimambranze
sotto una pioggia de malinconia:
e, rassegnato, aspetto un'alluvione
che in un tramonto me se porti via
co' tutti li ricordi a pennolone.
Questa poesiuola viene dal film "Papà Ho Trovato Un Amico" di Howard Zieff, ed e' di Vada Sultenfuss (Anna Chlumsky).
RispondiEliminaSalice piangente con lacrime a forma di ramo,
perché piangi e non rispondi se ti chiamo?
E perché un giorno lui ti ha dovuto lasciare?
E perché non è potuto restare?
Sulle tue fronde si arrampicava
e con la sua piccola mano leggera ti accarezzava
Con la tua ombra vinceva l'estate
pensavi fossero eterne le sue risate?
Smetti di piangere salice piangente
perché questo piangere non servirà a niente,
credi che la morte te lo abbia tolto,
che non tornerà mai,
ma cercalo nel tuo cuore,
lo ritroverai.
Come salice piangente, di Cristina Biga
RispondiEliminaCome salice piangente
Arcuate verso il basso
le mie stanche spalle
come basto d'asino cariche
di troppo peso,
lo specchio rotto riflette frammenti di vita
le schegge conficcate nella pelle
per non scordare mai...
Come rami di salice piangente
grondanti acqua di temporale estivo
stillo lacrime dalle ciglia
da occhi ormai chiusi, perduta volontà
di riaprirli alla luce
accecante il mio cuore...
Radici imprigionate da fango
qui sarà la fine-
-due braccia forti scuotono il tronco
cadono tutte le lacrime,
bonificata la terra intorno...
Col tuo amore
rasserenato hai il cielo
soffiato caldo vento asciugando i rami,
scagliato via il basto,
da salice piangente
sono magnolia in fiore...
SALICE PIANGENTE. di Aury.S.
RispondiEliminaLa solitudine
è nei tuoi occhi,
scrigni segreti di dolci sogni
intessuti nel ricordo
senza fine
Il dolore
è nei tuoi silenzi,
mute parole sussurrate
dal cuore ai venti
dell'inverno
Salice solo e piangente
nella vita del giardino
che più non ti sfiora
chiudi la chioma
alla luce del giorno
che muore
Corpo d'ebano
su cui si stagliano
le pungenti brezze
della sera
Rami nudi
sotto il pallido raggio
che scolora
Mani vuote
ancor disposte
nella carezza del viaggio
Sulle tue foglie
petali e sorrisi di primavera
si sciolgono
in una lacrima
che cade
sul volto dell'anima
mentre nel buio
di una stanza
ondeggia il rumore
di un battito
infinito
inascoltato
rintocco d'Amore...
Salice piangente
RispondiEliminaIn un riverbero di cielo,
Immerso in un verdeggiante
Drappeggio e in un
Salice nato al margine
Del lago ti ho rivisto.
È l’alba ed una lacrima
Solca il mio volto, essa
Rifulge raggiante un raggio di sole
Che carezza la nivea pelle, quel tocco
Caldo fa sorgere un gelido ricordo.
Come il piangente albero
Piango al rimembrar di una
Persona, la cui vita è giunta
Da tempo al suo tramonto.
Il salice è un caro amico
Comprende la mestizia del mio animo
E sofferente partecipa al mio dolore.
Non piangere salice piangente...
RispondiEliminaDal film: "Papà ho trovato un amico". Bellissima!
Salice piangente con lacrime a forma di ramo,
perché piangi e non rispondi se ti chiamo?
E perché un giorno lui ti ha dovuto lasciare?
E perché non è potuto restare?
Sulle tue fronde si arrampicava
e con la sua piccola mano leggera ti accarezzava
Con la tua ombra vinceva l'estate
pensavi fossero eterne le sue risate?
Smetti di piangere salice piangente
perché questo piangere non servirà a niente,
credi che la morte te lo abbia tolto,
che non tornerà mai,
ma cercalo nel tuo cuore,
lo ritroverai.
Mi ricordo i pioppi del Rio Salto, in una poesia indimenticabile. Declamata in parte alle elementari, studiata alle medie, e passata a memoria eterna.
RispondiEliminaLA CAVALLA STORNA, di Giovanni Pascoli
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.
Tu ch'hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l'agonia..."
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò su la criniera
"O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.
Questa invece nasce da una passione recente, Hikmet
RispondiEliminaVeder cadere le foglie
Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
Soprattutto se sono ippocastani
soprattutto se passano dei bimbi
soprattutto se il cielo è sereno
soprattutto se ho avuto, quel giorno,
una buona notizia
soprattutto se il cuore, quel giorno,
non mi fa male
soprattutto se credo, quel giorno,
che quella che amo mi ami
soprattutto se quel giorno
mi sento d’accordo
con gli uomini e con me stesso.
Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
dei viali d’ippocastani.
Nazim Hikmet
E questa e' per me
RispondiEliminaSoldati - Salvatore Quasimodo
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.
Johann Wolfgang Goethe
RispondiEliminaConosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Nel verde fogliame splendono arance d'oro
Un vento lieve spira dal cielo azzurro
Tranquillo è il mirto, sereno l'alloro
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
Vorrei con te, o mio amato, andare!
Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn,
Im dunklen Laub die Goldorangen glühn,
Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht,
Die Myrte still und hoch der Lorbeer steht,
Kennst du es wohl?
Dahin! Dahin
Möcht ich mit dir, o mein Geliebter, ziehn!
Sotto i tigli d'aprile, poesia di Mauri Huis
RispondiEliminaSotto i tigli, d'aprile
tra le foglie ancora chiare
vario e mobile appare
l'intenso cielo primaverile.
Le nubi più strane
v'intessono nuove trame
mentre vanno, vengono
e dissolvono
e nel contrasto
che fanno i rami scuri
col verde fluorescente
che brulica di chiaroscuri
divaga leggera la mente.
Bello pensare allora
che ciò che si vede sia meno
di ciò che s'ignora
bello pensare
che una nuova stagione arriva
e con essa una nuova speranza
che la vecchia tradiva.
Bello pensare che è bello
starsene stesi sull'erba a far nulla
solo a pensare ai fiori
all'estate, al mare
e all'eterno ciclo del mondo
per una volta accogliente e giocondo
in sintonia con noi.
Bello pensare che poi
sarà maggio
poi giugno
poi luglio ed agosto
e poi
di nuovo autunno
un autunno sereno
con tutte le foglie dei tigli
color dell'arcobaleno.
concludo con una filastrocca carina
RispondiEliminaSotto l'albero del tiglio
ho veduto grano e loglio
e un grazioso quadrifoglio.
Io cercavo l'erba-voglio,
tra le foglie, sotto il tiglio,
ma ho trovato solo miglio,
un cespuglio di cerfoglio,
fiori rossi di trifoglio:
Ma non c'era l'erba-voglio!
Bosco d'autunno
RispondiEliminaHa messo chiome il bosco d'autunno.
Vi dominano buio, sogno e quiete.
né scoiattoli, né civette o picchi
lo destano dal sogno.
E il sole pei sentieri dell'autunno
entrando dentro quando cala il giorno
si guarda intorno bieco con timore
cercando in esso trappole nascoste.
Boris Pasternak
Hermann Hesse, Quercia potata
RispondiEliminaTi abbiamo tagliato,
albero!
Come sei spoglio e bizzarro.
Cento volte hai patito,
finché tutto in te fu solo tenacia
e volontà!
Io sono come te. Non ho
rotto con la vita
incisa, tormentata
e ogni giorno mi sollevo dalle
sofferenze e alzo la fronte alla luce.
Ciò che in me era tenero e delicato,
il mondo lo ha deriso a morte,
ma indistruttibile è il mio essere,
sono pago, conciliato.
Paziente genero nuove foglie
Da rami cento volte sfrondati
e a dispetto di ogni pena
rimango innamorato
del mondo folle.
(traduzione Italiana di Adriana Apa, da Il coraggio di ogni giorno, 1998)
Hermann Hesse, Gestutzte Eiche – 1919
Wie haben sie dich, Baum, verschnitten
Wie stehst du fremd und sonderbar!
Wie hast du hundertmal gelitten,
Bis nichts in dir als Trotz und Wille war!
Ich bin wie du, mit dem verschnittnen,
Gequälten Leben brach ich nicht
Und tauche täglich aus durchlittnen
Roheiten neu die Stirn ins Licht.
Was in mir weich und zart gewesen,
Hat mir die Welt zu Tod gehöhnt,
Doch unzerstörbar ist mein Wesen,
Ich bin zufrieden, bin versöhnt,
Geduldig neue Blätter treib ich
Aus Ästen hundertmal zerspellt,
Und allem Weh zu Trotze bleib ich
Verliebt in die verrückte Welt.
(Hermann Hesse, Die Gedichte, 1919)
Quanto è distante
RispondiEliminada questo mondo
il ciliegio selvatico?
Furumaru (Yamamoto Tsunetomo)
Sotto bianche nuvole,
RispondiEliminapresso il ciliegio in fiore,
ci siamo appena incontrati.
Kisui (Tashiro Tsuramoto)
Mondo di sofferenza:
RispondiEliminaeppure i ciliegi
sono in fiore.
Issa
Cadono i fiori di ciliegio
RispondiEliminasugli specchi d'acqua della risaia: stelle,
al chiarore di una notte senza luna.
Yosa Buson
Attila Jozsef: Vorrei essere un melo selvatico
RispondiEliminaVorrei essere un melo selvatico,
un ramificato melo selvatico;
e così ogni bambino affamato
coperto dalle mie ombre
si sazierebbe del mio corpo.
Vorrei essere un melo selvatico,
così ogni singolo orfano,
allo scorrere delle lacrime amare,
mi verrebbe a trovare e con le sue lacrime
annaffierebbe la mia radice.
Vorrei essere un melo selvatico,
che al rinsecchirsi
venisse tagliato da babbo inverno,
con le fiamme asciugherebbe
le lacrime degli orfani mesti.
E, se davvero fossi un melo selvatico,
sulla terra vi sarebbe felicità, e
da nessuna parte mestizia, dolore
e le teste sorridenti non
verrebbero minacciate di dover migrare.
(1921)
Traduzione di Tomaso Kemeny
Pubblico volentieri alcune poesie sui fiori di pesco, un albero in cui spero di reincarnarmi secondo una recente teoria.
RispondiEliminaRami di pesco di Ada Negri
Ferma al quadrivio, mentre piove e spiove
sotto l’aspro alternar delle ventate
chiaccianti come fruste sulle facce
di chi va, di chi viene, una vecchietta
vende rami di pesco.
O primavera
per pochi soldi! O riso, o tremolìo
di stelle rosee su bagnate pietre!
Scompare agli occhi miei la strada urbana
con fango e folla e strider di convogli
sulle rotaie, e saettar nemico
d’automobili in corsa. Ecco, e in un campo
mi trovo: è verde, di frumento appena
sorto dal suolo: pioppi e gelsi intorno
con la promessa delle fronde al sommo
dei rami avvolti in una nebbia d’oro:
e peschi: oh, lievi, oh, gracili, d’un rosa
che non è della terra: ch’è di tuniche
d’angeli, scesi a benedire i primi
germogli, e pronti, a un alito di brezza,
a rivolar da nube a nube in cielo.
Fiori rosa, fiori di pesco di Mogol Battisti, perché è poesia pura
RispondiEliminaFiori di rosa
Fiori di pesco
Fiori rosa,
fiori di pesco, c’eri tu
fiori nuovi,
stasera esco, ho un anno di più
stessa strada, stessa porta.
Scusa se son venuto qui questa sera
da solo non riuscivo a donnine perché
di notte ho ancor bisogno di te
fammi entrare per favore
solo credevo di volare e non volo
credevo che l’azzurro di due occhi per me
fosse sempre cielo, non è
fosse sempre cielo, non è
posso stringerti le mani
come sono fredde tu tremi
no, non sto sbagliando mi ami
dimmi che è vero
dimmi che è vero
dimmi che è vero
dimmi che è vero
dimmi che noi non siamo stati mai lontani
dimmi che è vero
ieri era oggi, oggi è già domani
dimmi che è vero
è vero...
Dimmi che è vero...
Scusa credevo proprio che tu fossi sola
credevo non ci fosse nessuno con te
oh scusami tanto se puoi
signore chiedo scusa anche a lei
ma io ero proprio fuori di me
io ero proprio fuori di me
quando dicevo
posso stringerti le mani
come sono fredde tu tremi
no, non sto sbagliando mi ami
dimmi che è vero
dimmi che è vero
dimmi che è vero... vero vero vero
dimmi che è vero
dimmi che è vero....
Il fiore di pesco di Sabrina Ronchieri
RispondiEliminaVelluto rosa
fiore di pesco...
Tra il verde della primavera
profumi le campane a nozze...
Tenero giorno
tu che ne assapori
ingenuamente sul nascere...
Velluto rosa
fiore di pesco...
Il vento ti accarezza
movenze sensuali...
colori di passione...
L'abbraccio alla sempre
nuova primavera...
Velluto rosa
fiore di pesco...
..e sono alberi a spezzare il cielo
RispondiEliminasono passi silenziosi
i pugni in tasca
sono i tuoi occhi
che non rivedrò …
..e sono ombre
che seguirò
sono parole
che non hanno voce
sono le tue mani
che non stringerò..
..e sono alberi a spezzare il cielo
nuvole bianche
nell'azzurro velo
e la tua bocca
che non bacerò..
sono giorni che non riavrò…
maurizio
SAI CHE GLI ALBERI PARLANO?
RispondiEliminaSi parlano. Parlano l'un con l'altro,
e parlano a te, se li stai ad ascoltare.
Ma gli uomini bianchi non ascoltano.
Non hanno mai pensato
che valga la pena di ascoltare noi indiani,
e temo che non ascolteranno nemmeno
le altri voci della Natura.
Io stesso ho imparato molto dagli alberi:
talvolta qualcosa sul tempo,
talvolta qualcosa sugli animali,
talvolta qualcosa sul Grande Spirito.
Tatanga Mani (Bisonte Che Cammina 1871 - 1967)
PREGHIERA AD UN GIOVANE ALBERO DI CEDRO
RispondiEliminaGuardami, amico!
Sono venuto per chiederti il tuo vestito.
Sono venuto per chiederti il tuo vestito.
Tu ci dai tutto quello di cui abbiamo bisogno:
il tuo legno, la tua corteccia, i tuoi rami
e le fibre delle tue radici,
poiché tu hai pietà di noi.
Tu sei volentieri pronto a darci il tuo vestito.
Io sono venuto a pregarti per questo,
donatore di lunga vita;
poiché io voglio fare di te un cestino per le radici di giglio.
Io ti prego, amico, non essere adirato con me
e non essere adirato con me,
per quello che ora sto per fare con te.
E ti prego, amico,
racconta anche ai tuoi amici,
per che cosa sono venuto da te.
Proteggimi, amico!
Tieni la malattia lontana da me,
che io non perisca per malattia o in guerra, o amico!
Preghiera degli Indiani Kwakiutl
Si accendono e si spengono
RispondiEliminagli alberi di Natale.
Si accendono e si radunano
grandi e piccini intorno.
I rami si trasformano
con le bacche rosse e i fili d'or,
risplendono e sfavillano
gli alberi di Natale.
(Canto tradizionale tedesco)
Poesie nel camposanto, in memoria di alberi recisi
RispondiEliminadi Francesco M. T. Tarantino
«Quello che resta son solo radici
che non fanno alcun ombra e marciranno
ho dato ristoro e giorni felici
alle preghiere che ormai finiranno
ascoltavo i lamenti sotto terra
e con i miei rami li portavo al cielo
perché le cicatrici della guerra
fossero lenite da freddo e gelo
oltre ai patemi raccoglievo gioie
e soddisfazioni per piccole glorie
dalle pieghe dei rami a feritoie
sentivo narrare piccole storie
rancori di donne con le cesoie
nei rosari di terre e di memorie»
Gli alberi spogli
RispondiEliminaAscolta: ho incontrato nei versi
la gioia che dura,
la felicità degli altri.
Io scrivo con cura
la verità dei miei giorni;
l'amore per me è finito,
ora incontro la vita:
la mia notte più scura.
C'erano giorni assolati
e risi di visi passati;
a volte ho ancora quel riso
illuso sul viso marhiato.
Ma non è più la vita di prima.
Cadevano le foglie da chiome
illuminate fin sui nostri
corpi di minuscoli bambini
stesi a terra perchè a volte
ci facevamo male
ed assaggiavamo l'amaro
di questo nostro esistere
sotto i raggi del sole.
Ora le mie ginocchia sono intatte,
non perdo sangue da tempo,
ma come quelle foglie morte
sotto i miei primi passi,
mi disintegro lento.
Allora poggio la testa al muro
e vivo una pienezza
di dolore.
Federico Ghillino
MOTIVO AUTUNNALE
RispondiEliminaSoffia sui campi la tramontana;
gli alberi scuote.
e dai rami inariditi
stacca le morte foglie.
Il vento le sparge,
lontano per i campi:
restan sol i neri fusti
che tristi agitano i rami spogli.
P. Javorov
Poesia di J. R. Jimenez - Alberi spogli
RispondiEliminaQuante foglie sono cadute
la notte scorsa!
Pare che gli alberi
si sian girati sottosopra
e abbiano adesso
la chioma in terra
e le radici in cielo.
I platani non se ne accorsero - di Aurelio Zucchi
RispondiEliminaMano d’alba talentuosa
dipinse nuovissime luci
su larghe chiome assonnate
di platani assai infreddoliti.
Avevano il respiro quieto
di chi si aspetta l’abbraccio del sole.
Ed era già mattino quando
silenzio e fruscio di brezza
colmarono da subito i vuoti
tra un tronco e l’altro ancora brinosi.
Fu, quella, tenera solitudine
fino al primo grido d’arrotino.
Poi si sentì un gran vocìo
di bimbi o forse loro madri,
il netto profumo di brioche,
il fragore di una saracinesca.
I platani non se ne accorsero,
calde ormai erano le foglie.
Pioppi al tramonto di G. Vaj Pedotti
RispondiEliminaIo so chi colora
di rosso, nell’ora
già prossima a sera,
il cielo, soffuso di un pallido blu:
i giovani pioppi
a specchio nell’acqua laggiù.
Li ho visti piegare il pennello
dell’agile chioma
e intingerlo dentro il ruscello
di limpida porpora, sempre, a quell’ora.
Poi, subito ritti, con zelo
svettando; striare di rosso
la pagina chiara del cielo.
So ancora
nel suo folleggiare nel fosso
nel suo folleggiare monello
si lascia sfuggire talora
qua e là qualche macchia vermiglia
che a nube sospesa somiglia.
Pini in cortile, di anonimo cinese
RispondiEliminaCrescono i pini
di fronte alla scala.
Toccano coi rami il muro
della casa dai tegoli bruni;
e di mattina e di sera
li visita il vento e la luna.
Nelle tempeste d’autunno
sussurrano un verso vago;
contro il sole d’estate
ci prestano un’ombra fresca.
Nel colmo della primavera
una pioggia sottile, a sera,
riempie le loro foglie
d’un carico di perle pendule;
e alla fine dell’anno,
il tempo della gran neve
stampa sui loro rami
una trina lucente.
Il ciliegio (G. Fanciulli)
RispondiEliminaHo un ciliegio nell’orto
(proprio sotto al murello)
vecchio, rugoso e storto,
che rinnova il mantello
ad ogni primavera;
e tra le nuove foglie,
quando viene la sera,
i passeri raccoglie.
Nel sussurrar del vento,
tra il cinguettar vivace,
parla, sereno e lento:
“Son vecchio, ma mi piace
allargare i miei rami
nell’aria cilestrina,
udir questi richiami
di sera e di mattina…”.
“Se poi i dolci frutti”
un passero gli dice
“te li mangiamo tutti,
ancora sei felice?”
“Ma sì!” lieto risponde
il ciliegio. “La vira
di queste annose fronde
se non dona… è finita”.
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RispondiEliminaAbete, di Ingeborg Bachmann (Invocazione all’Orsa Maggiore)
RispondiEliminaOrsa Maggiore, scendi irsuta notte,
animale dal vello di nuvole
e gli occhi antichi,occhi stellari;
sbucano dall’intrico scintillanti
le tue zampe e gli artigli,
artigli stellari; vigili custodiamo le greggi,
pur ammaliati da te, e diffidiamo
dei tuoi lombi stanchi
e delle zanne aguzze per metà scoperte,
vecchia Orsa.
Una pigna , il vostro mondo.
Voi, le scaglie intorno.
Io lo spingo, lo rotolo,
dagli abeti in principio
agli abeti alla fine:
lo fiuto, lo tento col muso,
e con le zampe l’abbranco.
Abbiate o non abbiate timore:
versate l’obolo nella borsa sonante e date
una buona parola all’uomo cieco,
che l’Orsa trattenga al guinzaglio.
E insaporite bene gli agnelli.
potrebbe, quest’ Orsa, strappare i lacci,
non più minacciare ma dare
la caccia a tutte le pigne cadute
dagli abeti, i grandi abeti alati
precipitati dal paradiso.
Rabindranath Tagore
RispondiEliminaS’e’ fatto tardi, nel cammino,
il ciliegio e’ fiorito,
il giorno e’ passato invano, o diletta:
ma poi e’ apparsa l’azalea,
portando il sorriso
del tuo perdono.
L'assiuolo, di Giovanni Pascoli
RispondiEliminaDov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...
Spettacolare raccolta di poemi e poeti. Complimenti per la bellezza appena sentita.
RispondiEliminaLa quarta Elegia – Rainer Maria Rilke 1)
RispondiEliminaAlberi della vita, oh, quando giunge
l’Inverno su di voi?
Fusi non siamo in unità concorde:
come gli uccelli migratori, ai rami.
Sopravanzati sempre, e troppo tardi,
incavalchiamo i vènti all’improvviso;
e cadiamo entro stagni inospitali.
Nel senso del fiorire, è incluso già
il senso, in noi, dell’appassir fiorendo;
mentre vi son leoni, in altre plaghe,
che vanno e che non sanno
(fin quando, in loro, è maestà di forze)
la perentoria sorte del declino.
Ma noi, quando ci assorbe
tutti un obbietto,
un altro ne avvertiamo, che si sfoggia
a contrastargli, duplice, lo spazio.
L’ostilità degli uomini e del mondo:
ecco, la vicinanza più vicina.
Anche gli Amanti, che, nel mutuo darsi,
spazio si promettean fuga ed asilo,
urtano senza posa uno nell’altro:
come in un duro limite di pietra.
Penosamente,
alla forma dell’Attimo nel tempo
si propani uno sfondo di contrasto,
su cui spicchi più chiara ai nostri sguardi.
… La vita è sempre esplicita e lampante.
D’ogni senso, per noi, si manifesta
solo ciò che lo plasma dal di fuori:
non il profilo in cui si circoscrive.
Chi non sedette innanzi al proprio cuore,
trepido come innanzi ad un velario?
Si aprì… Sullo scenario di un addio.
Uno scenario noto. Vi oscillava
il solito giardino. Lentamente.
E venne il Danzatore.
Non Lui. Ma la sua maschera nel mondo.
Anche se si fa lieve ad ogni gesto,
è travestito. E tornerà, fra poco,
il borghesuccio che (quando rincasa)
per la cucina, accede alla sua stanza.
Non voglio queste maschere incompiute!
Meglio la marionetta, ch’è totale.
Sopporterò l’involucro ed i fili,
e quel suo vólto fatto di apparenza.
Eccomi. Sono pronto allo spettacolo.
Anche se adesso muoiono le lampade,
ed una voce mormora: Si chiude;
anche se spira dalla scena il vuoto
in un soffio di cenere e di freddo;
anche se accanto non mi siede, muto,
neppur uno de’ miei defunti antichi;
ecco, rimango. Ché qualcosa resta,
da contemplare.
La quarta Elegia – Rainer Maria Rilke 2)
Elimina…. E non è giusto?
Tu, padre mio, cui tanto amara parve
la vita, assaporando l’amarezza
di questa mia nei primi sorsi lenti
del mio destino,
e che tornavi a rigustarlo, mentre
cresceva col mio crescere; e, turbato
da un sì strano sapore di futuro,
scrutavi in fondo al velo de’ miei sguardi;
padre, che dentro me (anche defunto)
séguiti spesso a vivere di angoscia
in ogni mia speranza:
ed abbandoni
(solo a partecipar, di così poco,
al mio destino) la sovrana immensa
pace dei morti;
non è giusto, padre?
E voi, creature,
voi che mi amaste per l’esiguo inizio
d’amore ch’io vi diedi; e donde súbito
mi allontanavo,
perché lo spazio di quel vostro vólto
mi sconfinava — amato — per gli spazii
del mondo, in cui non eravate più;
non è giusto, creature?
Non è giusto, se attendere mi piace
innanzi al palco delle marionette?
E farmi, dentro, tutto quanto, e solo,
occhi voraci ?… In sino a quando, alfine,
a pareggiare il peso degli sguardi,
ecco un Angelo attore: che discende
sovra quel palco,
per raddrizzar le marionette in piedi.
La marionetta e l’Angelo, nel mondo.
Ed ora, lo spettacolo incomincia.
Compaginata, alfine, è l’unità,
che noi, vivendo, dissociammo ognora.
Dalle nostre stagioni, ora soltanto,
il ciclo dell’intiera metamorfosi
si compie e chiude.
Adesso sopra noi, fuori di noi,
è l’Angelo che recita nel mondo.
Guarda! I morenti non sospetterebbero
fino a qual punto tutto ciò che nasce
dal nostro agire è solamente inganno.
Nulla è, davvero, ciò che sembra essere.
Ore beate dell’infanzia, quando
dietro ogni forma respirava, intenso,
più che il passato; e innanzi a noi non era
ancóra l’avvenire!
Noi crescevamo. E ci assillava l’ansia
di farci grandi in fretta, per coloro
cui non restava più ch’essere grandi.
E nel nostro cammino solitario,
era la gioia, in noi, di ciò che dura.
Si viveva, così, nell’intervallo
ch’è tra il balocco e il mondo:
in uno spazio primigenio, fatto
solo per contenere un puro evento.
Chi mai darà figura
all’essenza ineffabile del bimbo?
Chi, Stella, lo porrà fra l’altre stelle,
e in mano gli darà la sua misura:
la misura infinita del distacco?
Chi renderà la morte del fanciullo
col tozzo grigio che diviene pietra,
o gliela lascierà — torso di pomo —
nella bocca rotonda e piccolina?
Nel mistero scrutar degli omicidi,
è agevol cosa. Ma questo: la morte,
tutta la morte, — prima della vita —
chiudere tanto dolcemente in sé,
senza rancore;
è questo, l’indicibile prodigio.
Rainer Maria Rilke
(Traduzione di Vincenzo Errante)
da “Elegie di Duino (1922)”, in “Rainer Maria Rilke, Liriche scelte e tradotte da Vincenzo Errante”, Sansoni, 1941
***
Die vierte Elegie - Rainer Maria Rilke
EliminaO Bäume Lebens, o wann winterlich?
Wir sind nicht einig. Sind nicht wie die Zug-
vögel verständigt. Überholt und spät,
so drängen wir uns plötzlich Winden auf
und fallen ein auf teilnahmslosen Teich.
Blühn und verdorrn ist uns zugleich bewußt.
Und irgendwo gehn Löwen noch und wissen,
solang sie herrlich sind, von keiner Ohnmacht.
Uns aber, wo wir Eines meinen, ganz,
ist schon des andern Aufwand fühlbar. Feindschaft
ist uns das Nächste. Treten Liebende
nicht immerfort an Ränder, eins im andern,
die sich versprachen Weite, Jagd und Heimat.
Da wird für eines Augenblickes Zeichnung
ein Grund von Gegenteil bereitet, mühsam,
daß wir sie sähen; denn man ist sehr deutlich
mit uns. Wir kennen den Kontur
des Fühlens nicht: nur, was ihn formt von außen.
Wer saß nicht bang vor seines Herzens Vorhang?
Der schlug sich auf: die Szenerie war Abschied.
Leicht zu verstehen. Der bekannte Garten,
und schwankte leise: dann erst kam der Tänzer.
Nicht der. Genug! Und wenn er auch so leicht tut,
er ist verkleidet und er wird ein Bürger
und geht durch seine Küche in die Wohnung.
Ich will nicht diese halbgefüllten Masken,
lieber die Puppe. Die ist voll. Ich will
den Balg aushalten und den Draht und ihr
Gesicht aus Aussehn. Hier. Ich bin davor.
Wenn auch die Lampen ausgehn, wenn mir auch
gesagt wird: Nichts mehr –, wenn auch von der Bühne
das Leere herkommt mit dem grauen Luftzug,
wenn auch von meinen stillen Vorfahrn keiner
mehr mit mir dasitzt, keine Frau, sogar
der Knabe nicht mehr mit dem braunen Schielaug:
Ich bleibe dennoch. Es giebt immer Zuschaun.
Die vierte Elegie - Rainer Maria Rilke 2)
EliminaHab ich nicht recht? Du, der um mich so bitter
das Leben schmeckte, meines kostend, Vater,
den ersten trüben Aufguß meines Müssens,
da ich heranwuchs, immer wieder kostend
und, mit dem Nachgeschmack so fremder Zukunft
beschäftigt, prüftest mein beschlagnes Aufschaun, –
der du, mein Vater, seit du tot bist, oft
in meiner Hoffnung, innen in mir, Angst hast,
und Gleichmut, wie ihn Tote haben, Reiche
von Gleichmut, aufgiebst für mein bißchen Schicksal,
hab ich nicht recht? Und ihr, hab ich nicht recht,
die ihr mich liebtet für den kleinen Anfang
Liebe zu euch, von dem ich immer abkam,
weil mir der Raum in eurem Angesicht,
da ich ihn liebte, überging in Weltraum,
in dem ihr nicht mehr wart…: wenn mir zumut ist,
zu warten vor der Puppenbühne, nein,
so völlig hinzuschaun, daß, um mein Schauen
am Ende aufzuwiegen, dort als Spieler
ein Engel hinmuß, der die Bälge hochreißt.
Engel und Puppe: dann ist endlich Schauspiel.
Dann kommt zusammen, was wir immerfort
entzwein, indem wir da sind. Dann entsteht
aus unsern Jahreszeiten erst der Umkreis
des ganzen Wandelns. Über uns hinüber
spielt dann der Engel. Sieh, die Sterbenden,
sollten sie nicht vermuten, wie voll Vorwand
das alles ist, was wir hier leisten. Alles
ist nicht es selbst. O Stunden in der Kindheit,
da hinter den Figuren mehr als nur
Vergangnes war und vor uns nicht die Zukunft.
Wir wuchsen freilich und wir drängten manchmal,
bald groß zu werden, denen halb zulieb,
die andres nicht mehr hatten, als das Großsein.
Und waren doch, in unserem Alleingehn,
mit Dauerndem vergnügt und standen da
im Zwischenraume zwischen Welt und Spielzeug,
an einer Stelle, die seit Anbeginn
gegründet war für einen reinen Vorgang.
Wer zeigt ein Kind, so wie es steht? Wer stellt
es ins Gestirn und giebt das Maß des Abstands
ihm in die Hand? Wer macht den Kindertod
aus grauem Brot, das hart wird, – oder läßt
ihn drin im runden Mund, so wie den Gröps
von einem schönen Apfel?…… Mörder sind
leicht einzusehen. Aber dies: den Tod,
den ganzen Tod, noch vor dem Leben so
sanft zu enthalten und nicht bös zu sein,
ist unbeschreiblich.
Rainer Maria Rilke
da “Duineser Elegie”, Insel-Verlag, Leipzig, 1923
l’albero più prezioso
RispondiEliminal’albero più prezioso era
quello colpito dal fulmine.
si trovava in fondo al vialetto,
unico del filare a essere stato
squarciato durante una tempesta.
non aveva più foglie per offrire
riparo dal sole, non aveva più
rami per sostenere casette e
volteggi di altalene, e poiché
erbacce e rifiuti ne infestavano
il terreno, i passanti concordavano
sulla necessità di abbatterlo.
ma quello colpito dal fulmine
era l’albero più prezioso, perché
dal suo tronco un sussurro
attirava i bambini, e quando
il loro orecchio si avvicinava
alla corteccia, quel sussurro
diveniva una voce distinta, che
diceva: “Non sostate sotto gli
alberi durante i temporali”.
di Luca Gilioli
recitata infinite volte da mio padre per addormentarmi.
RispondiEliminaFides
Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso pareva oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
Così fatto è lassù tutto un giardino.
Il bimbo dorme, e sogna i rami d’oro,
gli alberi d’oro, le foreste d’oro;
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera.
Giovanni Pascoli
da Myricae
Sotto il tiglio, là nella landa
RispondiEliminaLà dov'era il nostro letto
Voi che passate potrete vedere
Come rompemmo fiori ed erba
Davanti al bosco cantava l'usignolo
E di fiori lei fece un giaciglio
Riderà chi passi per di là
Guardate com'è rossa la sua bocca
Sotto il tiglio, là nella landa
Noi rompemmo fiori ed erba
Dalle rose pottete vedere
Dove io posai la testa
Se saprete che lei era con me
Questo non sarà certo mai vergogna
Era lei la donna che volevo
Per essere chiamato col mio nome
Sotto il tiglio, là nella landa
La radica si abbraccia al giglio
Voi che passate potrete vedere
Come son cresciuti insieme
Lei con me rimase solo un anno
Ma con oro poi intrecciò le chiome
E se ne andò, io amavo uno sparviero
In alto si levò e volò via
Sempre va a caccia di nubi
Il vento e non può mai fermarsi
Ma la bellezza è ancor più veloce
Troppo lento per lei il vento
Così è la nostra vita e il mondo
Come vento e nube fugge via
Così è la nostra vita e il mondo
Come vento e nube fugge via
Testo della canzone Sotto il tiglio (Angelo Branduardi), tratta dall'album Alla fiera dell'est
" (...) quello che pianterà
RispondiEliminaun albero segreto
in Rue Pillet-Will
non avrà il suo nome inciso
su nessuna facciata
ma i passanti senza saperlo
gli saranno molto riconoscenti
ascoltando in questa strada povera,
stretta e spoglia
una insolita e salutare musichetta verde."
Jacques Prevert - Arbres III
(...) Celui qui plantera un arbre secret dans la rue
Pillet
Will n’aura son nom marqué sur aucune façade mais sans le savoir les passants lui seront très reconnaissants en écoutant dans cette rue mendiante stricte et veuve
de tout un petit air de musique verte insolite salutaire et surprenant.
splendida raccolta
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