PUO' DARSI (1930)
Può darsi che io non arrivi ad un certo giorno,
può darsi
che penzolando da un capo del ponte
lascerò cadere la mia ombra sull'asfalto...
E può darsi che, anche dopo quel certo giorno,
io sia ancora in vita, irsuto di bianco pelo...
Se sarò vivo dopo quel certo giorno,
appoggiandomi ai muri per la periferia della città
suonerò il violino e canterò una canzone
ai vecchi, intorno a me,
che, come me, saranno sopravvissuti all'ultima battaglia.
E dovunque volgerò l'occhio,
tutto sarà allegro, splendido,
e la sera stupenda,
e ascolterò il passo di gente nuova
che intona nuove canzoni.
Meraviglioso poeta turco, con una assoluta passione per la vita. Amo questa poesia perché penso spesso che potrei essere morta e non saperlo...
Adoro Hikmet ma non conoscevo questa poesia,grazie per averla postata e grazie del tuo commento,è vero potremmo essere morti e non saperlo
RispondiEliminalascio quella più conosciuta e al pari bella
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto
Altro tema prediletto da Hikmet, la nostalgia. Eccone un esempio
RispondiEliminaDurante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
non dico che fosse come la mia ombra
mi stava accanto anche nel buio
non dico che fosse come le mie mani e i miei piedi
quando si dorme si perdono le mani e i piedi
io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno
durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
non dico che fosse fame o sete o desiderio
del fresco nell’afa o del caldo nel gelo
era qualcosa che non può giungere a sazietà
non era gioia o tristezza non era legata
alle città alle nuvole alle canzoni ai ricordi
era in me e fuori di me.
durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
e del viaggio non mi resta nulla se non quella nostalgia.
io conosco solo la nostalgia romantica per posti dove ho lasciato metà cuore.... non è una nostalgia che fa male come questa di hikmet...
Eliminama so che esiste anche questa di nostalgia..di ciò che si è perso e non tornerà più
Io scelgo questa, anche se la mia preferita è quella degli amici morti che ritornano, ma mi sembrava un po' troppo triste.
RispondiEliminaIn questa notte d'autunno
sono pieno delle tue parole
parole eterne come il tempo
come la materia
parole pesanti come la mano
scintillanti come le stelle.
Dalla tua testa dalla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica
Erano tristi, amare
erano allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini.
Questa poesia, intitolata NOTTE D'AUTUNNO è diventata famosissima quando Ferzan Ozpetek, anche lui turco, l'ha inserita nel suo film più amato, LE FATE IGNORANTI. Aggiungo un commento del regista:
EliminaLe fate ignoranti sono quelle che incontriamo e
non riconosciamo ma che ci cambiano la vita.
Non sono quelle delle fiabe, perché loro qualche bugia la dicono.
Sono ignoranti, esplicite, anche pesanti a volte,
ma non mentono sui sentimenti. Le fate ignoranti sono tutti quelli che vivono allo scoperto,
che vivono i propri sentimenti
e non hanno paura di manifestarli.
Sono le persone che parlano senza peli sulla lingua,
che vivono le proprie contraddizioni e che ignorano le strategie.
Spesso passano per "ignoranti", perché sembrano cafone
e invadenti per la loro mancanza di buone maniere,
ma sono anche molto spesso delle "fate"
perché capaci di compiere il "miracolo" di travolgerci,
costringendoci a dare una svolta alla nostra vita.
La metto io
RispondiEliminaDella morte (1946) – Nazim Hikmet
Entrate, amici miei, accomodatevi
siate i benvenuti
mi date molta gioia.
Lo so, siete entrati per la finestra della mia cella
mentre dormivo.
Non avete rovesciato la brocca
né la scatola rossa delle medicine.
I visi nella luce delle stelle
state mano in mano al mio capezzale.
Com'è strano
vi credevo morti
e siccome non credo né in Dio né all'aldilà
mi rammaricavo di non aver potuto
offrirvi ancora un pizzico di tabacco.
Com'è strano
vi credevo morti
e voi siete venuti per la finestra della mia cella
entrate, amici miei, sedetevi
siate i benvenuti
mi date molta gioia.
Hascìm, figlio di Osmàn,
perché mi guardi a quel modo?
Hascìm figlio di Osmàn
è strano
non eri morto, fratello,
a Istanbul, nel porto
caricando il carbone su una nave straniera?
Eri caduto col secchio in fondo alla stiva
la gru ti ha tirato su
e prima di andare a riposare
definitivamente
il tuo sangue rosso aveva lavato
la tua testa nera.
Chi sa quanto avevi sofferto.
Non restate in piedi, sedetevi.
Vi credevo morti.
Siete entrati per la finestra della mia cella
i visi nella luce delle stelle
siate i benvenuti
mi date molta gioia.
Yakùp, del villaggio di Kayalar
salve, caro compagno,
non eri morto anche tu?
Non eri andato nel cimitero senz'alberi
lasciando ai tuoi bambini la malaria e la fame?
Faceva terribilmente caldo, quel giorno
e allora, non eri morto?
E tu, Ahmet Gemìl, lo scrittore?
Ho visto coi miei occhi
la tua bara scendere nella fossa.
Credo anche di ricordarmi
che la tua bara fosse un po' corta per la tua statura.
Lascia stare, Gemìl
vedo che ce l'hai sempre, la vecchia abitudine
ma è una bottiglia di medicina, non di rakì.
Ne bevevi tanto
per poter guadagnare cinquanta piastre al giorno
e dimenticare il mondo nella tua solitudine.
Vi credevo morti, amici miei
state al mio capezzale la mano in mano
sedete, amici miei, accomodatevi.
Benvenuti, mi date molta gioia.
La morte è giusta, dice un poeta persiano,
ha la stessa maestà colpendo il povero e lo scià.
Hascìm, perché ti stupisci?
Non hai mai sentito parlare di uno scià
morto in una stiva con un secchio di carbone?
La morte è giusta, dice un poeta persiano.
Yakùp
mi piaci quando ridi, caro compagno
non ti ho mai visto ridere così
quando eri vivo...
Ma lasciatemi finire
la morte è giusta dice un poeta persiano...
Lascia quella bottiglia, Ahmer Gemìl,
non t'arrabbiare, so quel che vuol dire
affinché la morte sia giusta
bisogna che la vita sia giusta.
Il poeta persiano...
Amici miei, perché mi lasciate solo?
Dove andate?
è bellissima e toccante
Elimina"affinchè la morte sia giusta bisogna che la vita sia giusta"
Belle, soprattutto l'ultima: quella domanda "Amici miei, perché mi lasciate solo? Dove andate?" è straziante, l'urlo di un uomo incarcerato da decenni, al quale rimane come unico sollievo la visita dei suoi compagni morti. La sua vita, la sua politica, il suo amore, la sua grandezza sono un pezzo unico, integro, inestimabile.
RispondiEliminaHo amato Hikmet da subito, per la coerenza delle sue idee, per il coraggio di esprimerle comunque e dovunque. Lo amo perché nelle sue poesie la donna non è bambola, né strumento, né oggetto di niente, ma una compagna di vita e di percorso. Ecco perché scelgo questa:
RispondiEliminaSei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d'estate
sei la mia patria tu,
coi riflessi verdi dei tuoi occhi tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia di saperti inaccessibile
nel momento stesso in cui ti afferro.
Grande persona, ha combattuto una vita per le sue idee, pagandole di persona. E non ha mai smesso di scrivere, di amare, di vivere. La sua Alle porte di Madrid è stata una bandiera per migliaia di soldati. A volte le idee sono più potenti del potere.
RispondiEliminaNon ascoltare le voci delle sfere dell'aldilà,
Eliminané intrecciare nella trama delle righe poesie ermetiche.
né cercare
con pazienza di orafo
rime graziose
e fini espressioni,
stasera, grazie al cielo, io sto più su
di tutto ciò.
Stasera io
sono un cantastorie di strada.
La mia voce è semplice, senza artifici,
e tu
non puoi udire la mia canzone ...
È notte
Nevica.
Tu sei alle porte di Madrid.
Davanti a te hai l'armata dei nemici,
che è venuta per uccidere
tutto ciò che c'è di più bello:
la libertà,
il sogno,
la speranza
e i ragazzi.
E nevica.
E forse,
i tuoi piedi nudi gelano.
Nevica ...
Ed ecco,
in quest'istante
che io penso a te con tutto il mio cuore,
forse
una pallottola spezzerà la tua vita
una ferita che ti sei presa al Nord?
Forse
sei tu quello che per ultimo
sparò nella notte che gli junker
bombardavano Bilbao?
O servivi come bracciante
nelle tenute di un qualche
conte Fernando Valesquero di Cortolon?
O avevi una botteguccia
alla Porta del Sole
e vendevi le frutta dai colori spagnoli?
Forse, non avevi alcun talento,
o forse avevi una bella voce?
O eri uno studente,
un futuro giurista,
e i tuoi libri
sotto i cingoli d'un carro armato italiano
son rimasti
nella città universitaria?
Forse non credevi in Dio,
e forse invece portavi una piccola croce di rame
a un cordino di seta?
Chi sei,
come ti chiami,
quanti anni hai?
Non ho visto la tua faccia,
e non la vedrò.
Forse
essa ricorda le facce di quelli
che batterono le bande di Kolciak in Siberia?
O, in qualche tratto,
tu ricordi coloro
che sono caduti
a Domlupinar?
O somigli a Robespierre?
Non hai udito il mio nome,
e non l'udrai.
Tra noi due, fratello,
ci sono i mari e i monti,
e le mie maledette catene,
e le prescrizioni
del comitato di non intervento...
Non posso venire da te,
non posso mandarti di qui
né una cassa di cartucce
né uova
né un paio di calze di lana...
So
che in questo gelo
i tuoi piedi nudi,
là, alle porte di Madrid,
come due bimbi
gelano al vento ...
E so
che tutto ciò che in questo mondo
c'è di grande
e di bello,
tutto ciò che sarà fatto dagli uomini,
tutta la Verità futura
e la Grandezza,
che io aspetto con tanta ansia nel cuore,
tutto questo riluce nei tuoi occhi,
sentinella mia,
stanotte
alle porte di Madrid ...
E so
che oggi non posso,
come non potei ieri
e non potrò domani,
fare nient'altro
che pensare a te
e amarti!
Alle porte di Madrid - Nazim Hikmet
EliminaSe vuoi crescere davvero, se vuoi capire il mondo di oggi, devi darti la pena di andare a cercare libri come questo, per capire cos'è l'integrità di una persona, per imparare la coerenza, il coraggio delle idee, e la bellezza di un'anima libera.
RispondiEliminaè ciò che ho pensato nel leggere la poesia postata da Marco...c'è bisogno di riacquistare i valori e i sapori di un tempo,quell'integrità persa ,il coraggio delle proprie idee anche se sembra poi di essere controcorrente..
EliminaLe piante, da quelle di seta fino alle più arruffate
RispondiEliminagli animali, da quelli a pelo fino a quelli a scaglie
le case, dalle tende di crine fino al cemento armato
le macchine, dagli aeroplani al rasoio elettrico
e poi gli oceani e poi l’acqua nel bicchiere
e poi le stelle
e poi il sonno delle montagne
e poi dappertutto mescolato a tutto l’uomo
ossia il sudore della fronte
ossia la luce nei libri
ossia la verità e la menzogna
ossia l’amico e il nemico
ossia la nostalgia la gioia il dolore
sono passato attraverso la folla
insieme alla folla che passa.
Nazim Hikmet, "L'uomo"
by Birdy
Mi piace pensare alla poesia iniziale, "Può darsi" e dedicarla al Cev.
RispondiEliminaRileggere "Puo' darsi" è veramente terribile, pensando al Cev. Sembra scritta adesso, ora.
EliminaTi amo come se mangiassi il pane
RispondiEliminaspruzzandolo di sale
come se alzandomi la notte bruciante di febbre
bevessi l'acqua con le labbra sul rubinetto
ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so che cosa contenga e da chi pieno di gioia
pieno di sospetto agitato
ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo
ti amo come qualche cosa che si muove in me quando il
crepuscolo scende su Istanbul poco a poco
ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.
(Nazim Hikmet)
Birdy
Rubo a Baku & Friends senza dimenticare mai di complimentarmi per le scelte:
RispondiEliminaTi ho sognata
mi sei apparsa sopra i rami
passando vicino alla luna
tra una nuvola e l'altra
andavi, e io ti seguivo
ti fermavi e io mi fermavo,
mi fermavo, e tu ti fermavi,
mi guardavi e io ti guardavo
ti guardavo e tu mi guardavi
poi tutto è finito. Ti ho sognata.
(Nazim Hikmet)
Baku
I GIORNI SON SEMPRE PIU' BREVI - NAZIM HIKMET
RispondiEliminaI giorni son sempre più brevi
le piogge cominceranno.
La mia porta, spalancata, ti ha atteso.
Perché hai tardato tanto?
Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.
Il vino che avevo conservato nella brocca
l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
Perché hai tardato tanto?
Ma ecco sui rami, maturi, profondi
dei frutti carichi di miele.
Stavano per cadere senz'essere colti
se tu avessi tardato ancora un poco.
Nazim Hikmet
Che sta facendo adesso...
RispondiEliminaChe sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
E' a casa? Per la strada?
Al lavoro? In piedi? Sdraiata?
Forse sta alzando il braccio?
Amor mio
come appare in quel movimento
il polso bianco e rotondo!
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
Un gattino sulle ginocchia
lei lo accarezza.
O forse sta camminando
ecco il piede che avanza.
Oh i tuoi piedi che mi son cari
che mi camminano sull'anima
che illuminano i miei giorni bui!
A che pensa?
A me? o forse...chi sa
ai fagioli che non si cuociono.
O forse si domanda
perchè tanti sono infelici
sulla terra.
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
Nazim Hikmet
“Forse la mia ultima lettera a Mehmet”
RispondiEliminaNon vivere su questa terra come un inquilino,
oppure in villeggiatura nella natura.
vivi in questo mondo come se fosse la casa di tuo padre
credi al grano, al mare, alla terra, ma soprattutto all’uomo.
Ama la nuvola, la macchina, il libro, ma innanzitutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che si secca,
del pianeta che si spegne, dell’animale infermo,
ma innanzitutto la tristezza dell’uomo.
Che tutti i beni terrestri
ti diano gioia
che l’ombra e il chiaro
ti diano gioia
ma che soprattutto l’uomo
ti dia gioia.
Nazim Hikmet
(grazie a Libreria Post Office)
Nazim Hikmet
RispondiEliminaI miei giorni sono fette di melone
profumato di vita
grazie a te
i frutti si protendono verso la mia mano
come se fossi sole
grazie a te
grazie a te
succhierò solo il miele della speranza
anche le mie serate più solitarie sorridono
come un tappeto d’Anatolia
appeso sulla parete
grazie a te
al termine della mi strada che non entra in città
mi sono riposato in un giardino di rose
grazie a te
grazie a te
non lascio entrare la morte vestita di veli molli
che bussa alla mia porta cantando le sue canzoni
e invitandomi al gran riposo.
Prima che bruci Parigi - Nazim Hikmet
RispondiEliminaFinché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca
e (se tu fossi qui)
andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.
Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
(se tu fossi qui)
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.
(se tu fossi qui)
In alto, le case di pietra
senza incavi né gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.
Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
- verso il Belgio o verso l’Olanda? -
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.
Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore.
Anche questa mattina mi sono svegliato» – Nazim Hikmet
RispondiElimina(grazie a tittideluca)
Anche questa mattina mi sono svegliato
e il muro la coperta i vetri la plastica il legno
si son buttati addosso a me alla rinfusa
e la luce d’argento annerito della lampada
mi si è buttato addosso anche un biglietto di tram
e il giallo della parete e tre righe di scritto
e la camera d’albergo e questo paese nemico
e la metà del sogno caduta da questo lato s’è spenta
mi si è buttata addosso la fronte bianca del tempo
e i ricordi più vecchi e la tua assenza nel letto
e la nostra separazione e quello che siamo
mi sono svegliato anche questa mattina
e ti amo.
Nazim Hikmet
Berlino, 1961
(Traduzione di Joyce Lussu)
da “Nazim Hikmet, Poesie d’amore”, A. Mondadori Editore, 1991
Sono cent’anni che non ho visto il suo viso» – Nazim Hikmet
RispondiElimina(di tittideluca)
Sono cent’anni che non ho visto il suo viso
che non ho passato il suo braccio
attorno alla sua vita
che non mi son fermato nei suoi occhi
che non ho interrogato
la chiarità del suo pensiero
che non ho toccato
il calore del suo ventre
eravamo sullo stesso ramo insieme
eravamo sullo stesso ramo
caduti dallo stesso ramo ci siamo separati
e tra noi il tempo è di cent’anni
di cent’anni la strada
e da cent’anni nella penombra
corro dietro a te.
Nazim Hikmet
Stoccolma, 1960
(Traduzione di Joyce Lussu)
da “Nazim Hikmet, Poesie d’amore”, A. Mondadori Editore, 1991
Ciò che ho scritto di noi
RispondiEliminaè tutta una bugia
è la mia nostalgia
cresciuta sul ramo
inaccessibile
è la mia sete
tirata su dal pozzo
dei miei sogni
è il disegno tracciato
su un raggio di sole
Ciò che ho scritto di noi
è tutta verità
è la tua grazia
cesta colma di frutti
rovesciata sull'erba
è la tua assenza
quando divento l'ultima luce
all'ultimo angolo della via
è la mia gelosia
quando corro di notte
fra i treni con gli occhi bendati
è la mia felicità
fiume soleggiato che
irrompe sulle dighe
Ciò che ho scritto di noi
è tutta una bugia
ciò che ho scritto di noi
è tutta verità.
__ Nazim Hikmet - "Ciò che ho scritto di noi" __
(grazie a Libreria Post Office)