Leggesi
nelle antiche memorie delle fiorentine cose come già s'intese
per relazione, di alcuno santissimo uomo, la cui vita, apresso
qualunque in quelli tempi viveva, era celebrata, che, standosi
abstratto nelle sue orazioni, vide mediante quelle come, andando
infinite anime di quelli miseri mortali, che nella disgrazia di Dio
morivano all'inferno, tutte o la maggior parte si dolevono, non per
altro che per avere preso moglie essersi a tanta infelicità
condotte. Donde che Minos e Radamanto insieme con gli altri infernali
giudici ne avevano maraviglia grandissima. E non potendo credere
queste calunnie che costoro al sesso femmineo davano essere vere, e
cresciendo ogni giorno le querele, e avendo di tutto fatto a Plutone
conveniente rapporto, fu deliberato per lui di avere sopra questo
caso con tutti gl'infernali principi maturo esamine, e pigliarne
dipoi quel partito che fussi giudicato migliore per scoprire questa
fallacia, o conoscerne in tutto la verità. Chiamatogli adunque
a concilio, parlò Plutone in questa sentenza: "Ancora che
io, dilettissimi miei, per celeste disposizione e fatale sorte al
tutto inrevocabile possegga questo regno, e che per questo io non
possa essere obligato ad alcuno iudicio o celeste o mondano,
nondimeno, perché gli è maggiore prudenza di quelli che
possono più sottomettersi più alle leggi e più
stimare l'altrui iudizio: ho deliberato essere consigliato da voi
come, in uno caso il quale potrebbe seguire con qualche infamia del
nostro imperio, io mi debba governare. Perché dicendo tutte
l'anime degli uomini, che vengono nel nostro regno esserne stato
cagione la moglie, e parendoci questo impossibile, dubitiamo che
dando iudizio sopra questa relazione ne possiamo essere calunniati
come troppo creduli, e non ne dando come manco severi e poco amatori
della iustizia. E perché l'uno peccato è da uomini
leggieri e l'altro da ingiusti, e volendo fuggire quegli carichi che
da l'uno e l'altro potrebbono dependere e non trovandone il modo, vi
abbiamo chiamati acciò che consigliandone ci aiutiate e siate
cagione che questo regno, come per lo passato è vivuto sanza
infamia, così per lo advenire viva". Parve a ciascheduno
di quegli prìncipi il caso importantissimo e di molta
considerazione: e concludendo tutti come egli era necessario
scoprirne la verità, erano discrepanti del modo. Perché
a chi pareva che si mandassi uno, a chi più, nel mondo, e
sotto forma di uomo conoscessi personalmente questo vero: a molti
altri occorreva potersi fare sanza tanto disagio, costringendo varie
anime con varii tormenti a scoprirlo. Pure la maggior parte
consigliando che si mandassi, s'indirizorno a questa opinione. E non
si trovando alcuno che voluntariamente prehendessi questa impresa,
deliberorno che la sorte fussi quella che lo dichiarassi. La quale
cadde sopra Belfagor arcidiavolo, ma per lo adietro, avanti che
cadessi di cielo, arcangelo. Il quale, ancora che male volentieri
pigliassi questo carico, nondimeno constretto da lo imperio di
Plutone si dispose a seguire quanto nel concilio si era determinato,
e si obligò a quelle condizioni che infra loro solennemente
erano state deliberate. Le quali erano: che subito a colui che fussi
a questa commissione deputato fussino consegnati centomila ducati,
con i quali doveva venire nel mondo, e sotto forma di uomo preender
moglie e con quella vivere X anni, e di poi fingendo di morire
tornarsene e per esperienza fare fede a i suoi superiori quali sieno
i carichi e le incommodità del matrimonio. Dichiarossi ancora
che durante detto tempo ei fussi sottoposto a tutti quegli disagi e
mali che sono sottoposti gli uomini e che si tira drietro la povertà,
le carcere, la malattia e ogni altro infortunio nel quale gli uomini
incorrono, eccetto se con inganno o astuzia se ne liberassi. Presa
adunque Belfagor la condizione e i danari, ne venne nel mondo: e
ordinato di sua masnade cavagli e compagni, entrò
onoratissimamente in Firenze: la quale città innanzi a tutte
l'altre elesse per suo domicilio, come quella che gli pareva più
atta a sopportare chi con arte usuraie essercitassi i suoi danari . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
E
fattosi chiamare Roderigo di Castiglia, prese una casa a fitto nel
Borgo d'Ognisanti; e perché non si potessino rinvenire le sue
condizioni, disse essersi da piccolo partito di Spagna e itone in
Soria, e avere in Aleppe guadagnato tutte le sue facultà:
donde s'era poi partito per venire in Italia a preender donna in
luoghi più umani e alla vita civile e allo animo suo più
conformi. Era Roderigo bellissimo uomo e monstrava una età di
trent’anni; e avendo in pochi giorni dimostro di quante richeze
abundassi, e dando essempli di sé di essere umano e liberale,
molti nobili cittadini che avevano assai figliole e pochi danari se
gli offerivano: intra le quali tutte Roderigo scielse una bellissima
fanciulla chiamata Onesta, figliuola di Amerigo Donati il quale ne
aveva tre altre, insieme con tre figliuoli maschi tutti uomini, e
quelle erano quasi che da marito: e benché fussi d'una
nobilissima famiglia, e di lui fussi in Firenze tenuto buono conto,
non dimanco era rispetto alla brigata avea e alla nobilità
poverissimo. Fece Roderigo magnifiche e splendidissime noze: né
lasciò indietro alcuna di quelle cose che in simili feste si
desiderano. E essendo, per la legge che gli era stata data nello
uscire d'inferno, sottoposto a tutte le passioni umane, subito
cominciò a pigliare piacere degli onori e delle pompe del
mondo e avere caro di essere laudato intra gli uomini, il che gli
arrecava spesa non piccola. Oltra di questo non fu dimorato molto con
la sua monna Onesta, che se ne innamorò fuori di misura: né
poteva vivere qualunque volta la vedeva stare trista e avere alcuno
dispiacere. Aveva mona Onesta portato in casa di Roderigo, insieme
con la nobilità e con la belleza, tanta superbia che non ne
ebbe mai tanta Lucifero; e Roderigo, che aveva provata l'una e
l'altra, giudicava quella della moglie superiore; ma diventò
di lunga maggiore, come prima quella si accorse dello amore che il
marito le portava; e parendole poterlo da ogne parte signoreggiare,
sanza alcuna piatà o rispetto lo comandava, né
dubitava, quando da lui alcuna cosa gli era negata, con parole
villane e iniuriose morderlo: il che era a Roderigo cagione di
inestimabile noia. Purnondimeno il suocero, i frategli, il parentado,
l'obligo del matrimonio e, sopratutto, il grande amore le portava gli
faceva avere pazienza. Io voglio lasciare ire le grande spese, che,
per contentarla, faceva in vestirla di nuove usanze e contentarla di
nuove fogge, che continuamente la nostra città per sua
naturale consuetudine varia; che fu necessitato, volendo stare in
pace con lei, aiutare al suocero maritare l'altre sue figliuole: dove
spese grossa somma di danari. Dopo questo, volendo avere bene con
quella, gli convenne mandare uno de' frategli in Levante con panni,
un altro in Ponente con drappi, all'altro aprire uno battiloro in
Firenze: nelle quali cose dispensò la maggiore parte delle sue
fortune. Oltre a di questo, ne' tempi de' carnasciali e de' San
Giovanni, quando tutta la città per antica consuetudine
festeggia e che molti cittadini nobili e richi con splendidissimi
conviti si onorono, per non essere mona Onesta all'altre donne
inferiore, voleva che il suo Roderigo con simili feste tutti gli
altri superassi. Le quali cose tutte erano da lui per le sopradette
cagioni sopportate; né gli sarebbono, ancora che gravissime,
parute gravi a farle, se da questo ne fussi nata la quiete della casa
sua e s'egli avessi potuto pacificamente aspettare i tempi della sua
rovina. Ma gl'interveniva l'opposito, perché con le
insopportabili spese, la insolente natura di lei infinite incommodità
gli arrecava; e non erano in casa sua né servi né
serventi che, nonché molto tempo, ma brevissimi giorni la
potessino sopportare; donde ne nascevano a Roderigo disagi gravissimi
per non potere tenere servo fidato che avessi amore alle cose sua; e,
nonché altri, quegli diavoli, i quali in persona di famigli
aveva condotti seco, più tosto elessono di tornarsene in
inferno a stare nel fuoco, che vivere nel mondo sotto lo imperio di
quella. Standosi adunque Roderigo in questa tumultuosa e inquieta
vita, e avendo per le disordinate spese già consumato quanto
mobile si aveva riserbato, cominciò a vivere sopra la speranza
de' ritratti, che di Ponente e di Levante aspettava; e avendo ancora
buono credito, per non mancare di suo grado, prese a cambio. E
girandogli già molti marchi adosso, fu presto notato da
quegli, che in simile esercizio in Mercato si travagliano. E essendo
di già il caso suo tenero, vennero in un subito di Levante e
di Ponente nuove come l'uno de' frategli di mona Onesta s'aveva
giucato tutto il mobile di Roderigo, e che l'altro, tornando sopra
una nave carica di sue mercatantie sanza essersi altrimenti
assicurato, era insieme con quelle annegato. Né fu prima
publicata questa cosa che i creditori di Roderigo si ristrinsono
insieme; e giudicando che fussi spacciato, né possendo ancora
scoprirsi per non essere venuto il tempo de' pagamenti loro,
conclusono che fussi bene osservarlo così destramente, acciò
che dal detto al fatto di nascoso non se ne fuggissi. Roderigo, da
l'altra parte, non veggiendo al caso suo rimedio e sapiendo a quanto
la leggie infernale lo costringeva, pensò di fuggirsi in ogni
modo. E montato una mattina a cavallo, abitando propinquo alla Porta
al Prato, per quella se ne uscì. Né prima fu veduta la
partita sua, che il romore si levò fra i creditori, i quali
ricorsi ai magistrati, non solamente con i cursori, ma popularmente
si missono a seguirlo. Non era Roderigo, quando se gli lievò
drieto il romore, dilungato da la città uno miglio; in modo
che, vedendosi a male partito, deliberò, per fuggire più
segreto, uscire di strada e atraverso per gli campi cercare sua
fortuna. Ma sendo, a fare questo, impedito da le assai fosse, che
atraversano il paese, né potendo per questo ire a cavallo, si
misse a fuggire a piè e, lasciata la cavalcatura in su la
strada, atraversando di campo in campo, coperto da le vigne e da'
canneti, di che quel paese abonda, arrivò sopra Peretola a
casa Gianmatteo del Brica, lavoratore di Giovanni del Bene, e a sorte
trovò Gianmatteo che arrecava a casa da rodere a i buoi e se
gli raccomandò promettendogli che se lo salvava dalle mani de'
suoi nimici, i quali, per farlo morire in prigione, lo seguitavano,
che lo farebbe ricco e gliene darebbe innanzi alla sua partita tale
saggio che gli crederrebbe; e quando questo non facessi, era contento
che esso proprio lo ponessi in mano a i suoi aversarii. Era
Gianmatteo, ancora che contadino, uomo animoso, e giudicando non
potere perdere a pigliare partito di salvarlo, liene promisse; e
cacciatolo in uno monte di letame, quale aveva davanti a la sua casa,
lo ricoperse con cannucce e altre mondiglie che per ardere aveva
ragunate. Non era Roderigo apena fornito di nascondersi, che i suoi
perseguitatori sopraggiunsono e, per spaventi che facessino a
Gianmatteo, non trassono mai da lui che lo avessi visto; talché
passati più innanzi, avendolo invano quel dì e
quell'altro cerco, strachi se ne tornorno a Firenze. Gianmatteo
adunque, cessato il romore e trattolo del loco dove era, lo richiese
della fede data. Al quale Roderigo disse: "Fratello mio, io ho
con teco un grande obligo e lo voglio in ogni modo sodisfare; e
perché tu creda che io possa farlo, ti dirò chi io
sono". E quivi gli narrò di suo essere e delle leggi
avute allo uscire d'inferno e della moglie tolta; e di più gli
disse il modo, con il quale lo voleva arichire: che insumma sarebbe
questo, che, come ei sentiva che alcuna donna fussi spiritata,
credessi lui essere quello che le fussi adosso; né mai se
n'uscirebbe, s'egli non venissi a trarnelo; donde arebbe occasione di
farsi a suo modo pagare da i parenti di quella. E, rimasi in questa
conclusione, sparì via. Né passorno molti giorni, che
si sparse per tutto Firenze, come una figliuola di messer Ambruogio
Amidei, la quale aveva maritata a Bonaiuto Tebalducci, era
indemoniata; né mancorno i parenti di farvi tutti quegli
remedii, che in simili accidenti si fanno, ponendole in capo la testa
di san Zanobi e il mantello di san Giovanni Gualberto. Le quali cose
tutte da Roderigo erano uccellate. E, per chiarire ciascuno come il
male della fanciulla era uno spirito e non altra fantastica
imaginazione, parlava in latino e disputava delle cose di philosophia
e scopriva i peccati di molti; intra i quali scoperse quelli d'uno
frate che si aveva tenuta una femmina vestita ad uso di fraticino più
di quattro anni nella sua cella: le quali cose facevano maravigliare
ciascuno. Viveva pertanto messer Ambruogio mal contento; e avendo
invano provati tutti i remedii, aveva perduta ogni speranza di
guarirla, quando Gianmatteo venne a trovarlo e gli promisse la salute
de la sua figliuola, quando gli voglia donare cinquecento fiorini per
comperare uno podere a Peretola. Accettò messer Ambruogio il
partito: donde Gianmatteo, fatte dire prima certe messe e fatte sua
cerimonie per abbellire la cosa, si accostò a gli orechi della
fanciulla e disse: "Roderigo, io sono venuto a trovarti perché
tu mi osservi la promessa". Al quale Roderigo rispose: "Io
sono contento. Ma questo non basta a farti ricco. E però,
partito che io sarò di qui, enterrò nella figliuola di
Carlo, re di Napoli, né mai n'uscirò sanza te. Fara'ti
allora fare una mancia a tuo modo. Né poi mi darai più
briga". E detto questo s'uscì da dosso a colei con
piacere e ammirazione di tutta Firenze. Non passò dipoi molto
tempo, che per tutta Italia si sparse l'accidente venuto a la
figliuola del re Carlo. Né vi si trovando rimedio, avuta il re
notizia di Gianmatteo, mandò a Firenze per lui. Il quale,
arrivato a Napoli, dopo qualche finta cerimonia la guarì. Ma
Roderigo, prima che partissi, disse: "Tu vedi, Gianmatteo, io ti
ho osservato le promesse di averti arrichito. E però, sendo
disobligo, io non ti sono più tenuto di cosa alcuna. Pertanto
sarai contento non mi capitare più innanzi, perché,
dove io ti ho fatto bene, ti farei per lo avvenire male".
Tornato adunque a Firenze Gianmatteo richissimo, perché aveva
avuto da il re meglio che cinquantamila ducati, pensava di godersi
quelle richeze pacificamente, non credendo però che Roderigo
pensassi di offenderlo. Ma questo suo pensiero fu subito turbato da
una nuova che venne, come una figliuola di Lodovico settimo, re di
Francia, era spiritata. La quale nuova alterò tutta la mente
di Gianmatteo, pensando a l'auttorità di quel re e a le parole
che gli aveva Roderigo dette. Non trovando adunque quel re a la sua
figliuola rimedio, e intendendo la virtù di Gianmatteo, mandò
prima a richiederlo semplicemente per uno suo cursore. Ma, allegando
quello certe indisposizioni, fu forzato quel re a richiederne la
Signoria. La quale forzò Gianmatteo a ubbidire. Andato
pertanto costui tutto sconsolato a Parigi, mostrò prima a il
re come egli era certa cosa che per lo adrietro aveva guarita qualche
indemoniata, ma che non era per questo ch'egli sapessi o potessi
guarire tutti, perché se ne trovavano di sì perfida
natura che non temevano né minacce né incanti né
alcuna religione; ma con tutto questo era per fare suo debito e, non
gli riuscendo, ne domandava scusa e perdono. Al quale il re turbato
disse che se non la guariva, che lo appenderebbe. Sentì per
questo Gianmatteo dolore grande; pure, fatto buono cuore, fece venire
la indemoniata; e, acostatosi all'orechio di quella, umilmente si
raccomandò a Roderigo, ricordandogli il benificio fattogli e
di quanta ingratitudine sarebbe essemplo, se lo abbandonassi in tanta
necessità. Al quale Roderigo disse: "Do! villan
traditore, sì che tu hai ardire di venirmi innanzi? Credi tu
poterti vantare d'essere arichito per le mia mani? Io voglio mostrare
a te e a ciascuno come io so dare e t"rre ogni cosa a mia posta;
e innanzi che tu ti parta di qui, io ti farò impiccare in ogni
modo". Donde che Gianmatteo, non veggiendo per allora rimedio,
pensò di tentare la sua fortuna per un'altra via. E fatto
andare via la spiritata, disse al re: "Sire, come io vi ho
detto, e' sono di molti spiriti che sono sì maligni che con
loro non si ha alcuno buono partito, e questo è uno di quegli.
Pertanto io voglio fare una ultima sperienza; la quale se gioverà,
la vostra Maestà e io areno la intenzione nostra; quando non
giovi, io sarò nelle tua forze e arai di me quella compassione
che merita la innocenzia mia. Farai pertanto fare in su la piaza di
Nostra Dama un palco grande e capace di tutti i tuoi baroni e di
tutto il crero di questa città; farai parare il palco di
drappi di seta e d'oro; fabbricherai nel mezo di quello uno altare; e
voglio che domenica mattina prossima tu con il clero, insieme con
tutti i tuoi principi e baroni, con la reale pompa, con splendidi e
richi abigliamenti, conveniate sopra quello, dove celebrata prima una
solenne messa, farai venire la indemoniata. Voglio, oltr'a di questo,
che da l'uno canto de la piaza sieno insieme venti persone almeno che
abbino trombe, corni, tamburi, cornamuse, cembanelle, cemboli e
d'ogn'altra qualità romori, i quali quando io alzerò
uno cappello, dieno in quegli strumenti, e, sonando, ne venghino
verso il palco: le quali cose, insieme con certi altri segreti
rimedii, credo che faranno partire questo spirito". Fu sùbito
da il re ordinato tutto; e, venuta la domenica mattina e ripieno il
palco di personaggi e la piaza di populo, celebrata la messa, venne
la spiritata condutta in sul palco per le mani di dua vescovi e molti
signori. Quando Roderigo vide tanto popolo insieme e tanto apparato,
rimase quasi che stupido, e fra sé disse: "Che cosa ha
pensato di fare questo poltrone di questo villano? Crede egli
sbigottirmi con questa pompa? non sa egli che io sono uso a vedere le
pompe del cielo e le furie dello inferno? Io lo gastigherò in
ogni modo". E, accostandosegli Gianmatteo e pregandolo che
dovessi uscire, gli disse: "O, tu hai fatto il bel pensiero! Che
credi tu fare con questi tuoi apparati? Credi tu fuggire per questo
la potenza mia e l'ira del re? Villano ribaldo, io ti farò
impiccare in ogni modo". E così ripregandolo quello, e
quell'altro dicendogli villania, non parve a Gianmatteo di perdere
più tempo. E fatto il cenno con il cappello, tutti quegli, che
erano a romoreggiare diputati, dettono in quegli suoni, e con romori
che andavono al cielo ne vennono verso il palco. Al quale romore alzò
Roderigo gli orechi e, non sappiendo che cosa fussi e stando forte
maravigliato, tutto stupido domandò Gianmatteo che cosa quella
fussi. Al quale Gianmatteo tutto turbato disse: "Oimè,
Roderigo mio! quella è mogliata che ti viene a ritrovare".
Fu cosa maravigliosa a pensare quanta alterazione di mente recassi a
Roderigo sentire ricordare il nome della moglie. La quale fu tanta
che, non pensando s'egli era possibile o ragionevole se la fussi
dessa, senza replicare altro, tutto spaventato, se ne fuggì
lasciando la fanciulla libera, e volse più tosto tornarsene in
inferno a rendere ragione delle sua azioni, che di nuovo con tanti
fastidii, dispetti e periculi sottoporsi al giogo matrimoniale. E
così Belfagor, tornato in inferno, fece fede de' mali che
conduceva in una casa la moglie. E Gianmatteo, che ne seppe più
che il diavolo, se ne ritornò tutto lieto a casa.