(Hong gaoliang jiazu - Cina 1988)
Il fitto e alto sorgo risplendeva, freddo e gentile seduceva gli uomini, appassionato e tumultuoso. I venti autunnali erano freddi, forti i raggi del sole, gruppi di nuvole bianche e dense vagavano nel cielo azzurro, facendo scivolare sul sorgo le loro ombre color porpora. Per decine di anni che sembrano un giorno, file e file di persone dalla pelle rosso scura hanno fatto la spola tra i fusti del sorgo come disegnando una rete. Essi hanno ucciso, saccheggiato e difeso lealmente il Paese, muovendosi in una danza eroica e tragica che fa impallidire al confronto noi indegni discendenti e mi fa percepire chiaramente la regressione della specie che accompagna il progresso.
La campagna cinese, rosseggiante per le sterminate coltivazioni di sorgo, e per il sangue di cui è impregnata da secoli, fa da sfondo a questo bellissimo romanzo, come una specie di manifesto universale dei milioni di esseri invisibili e di nessuna importanza che vi abitano, subiscono ingiustizie e violenze, per morire poi tutti come se fossero nessuno.
Avevo già parlato della Cina con "Vento dell'Est; Vento dell'Ovest" di Pearl S. Buck, che descrive la vita familiare da un punto di vista diverso, privilegiato e benestante, seppure condizionato da leggi ataviche pressoché inossidabili. In Sorgo Rosso, invece, i protagonisti sono vessati da leggi doppiamente inique: quelle scritte da chi comanda, e quelle dettate dalla povertà.
L'autore è premio Nobel per la letteratura 2012.
Sicuramente da segnalare il film di Zhang Yimou, Orso d'Oro come miglior film al Festival di Berlino del 1988, con un'eccellente Gong Li nella parte di Nove Fiori.